L’inclusione scolastica tra ostacoli e buone prassi
Con questo articolo introduttivo comincia un viaggio panoramico sull’inclusione scolastica in Italia, che nei prossimi appuntamenti allargherà i suoi confini all’Europa. Ci occuperemo soprattutto dei processi inclusivi che riguardano gli studenti con disabilità.
Nel numero odierno vi offriamo una visione di insieme del processo inclusivo nella scuola italiana, un sistema articolato, in continua trasformazione, che negli anni è stato oggetto di un’intensa ricerca pedagogica e di interventi normativi sia a livello europeo che nazionale. La legge faro che orienta il lavoro dei docenti è la legge quadro 104/92 con le successive modifiche, che stabilisce minuziosamente come debba avvenire la presa in carico dello studente con disabilità. Tuttavia, nonostante un impianto normativo solidissimo, unico al mondo per le garanzie e gli strumenti che introduce, l’inclusione scolastica vive evidenti criticità, messe in luce anche dagli ultimi dati Istat, pubblicati nel febbraio 2024. Questi dati, relativi all’anno scolastico 22/23, evidenziano da un lato un aumento del 7% degli alunni con disabilità che frequentano le scuole italiane (il numero è triplicato negli ultimi 20 anni) ma dall’altro la carenza di insegnanti specializzati per il sostegno. Il 30% dei docenti impegnati nel sostegno didattico risulta selezionato dalle liste curricolari, cioè, si tratta di docenti privi di formazione specifica e spesso anche della giusta motivazione, che sopperiscono alla carenza di figure specializzate. Inoltre, a un mese dall’inizio della scuola il 12% di questi docenti non è ancora stato assegnato. Un’immediata conseguenza dell’attuale sistema di reclutamento è la difficoltà di garantire la continuità didattica agli studenti, negata al 59,6% di essi (l’8,9% ha cambiato docente di sostegno addirittura anche durante l’anno scolastico).
Se la disabilità secondo il modello ICF è causata non dalla patologia in sé ma dall’interazione tra condizione di salute, fattori personali e fattori ambientali, allora è chiaro che il ruolo facilitante del docente di sostegno si estrinseca in una serie di azioni sul contesto che implicano non solo la conoscenza approfondita dei fattori che vi operano, ma anche una progettazione a lungo termine, che non può essere garantita dall’avvicendarsi di insegnanti di sostegno che cambiano ogni anno. Un altro elemento disfunzionale che non permette di garantire né la continuità né la qualità del sostegno è rappresentato dal fatto che per molti docenti specializzati questo lavoro viene vissuto come collocamento temporaneo e via preferenziale verso la cattedra disciplinare.
Si potrebbe obiettare che la normativa individua nel consiglio di classe il soggetto responsabile della progettazione didattico-educativa dell’alunno con disabilità e che quindi potrebbe essere sufficiente la continuità di altri docenti della classe, ma nel tempo si è cronicizzato un altro processo destinato a corrodere i principi dell’inclusione, ossia la delega all’insegnante di sostegno di tutte le attività di ideazione e progettazione che riguardano lo studente con disabilità.
Anche le voci più autorevoli della pedagogia italiana hanno ribadito nella mozione finale della 14esima edizione del Convegno "La qualità dell’inclusione scolastica e sociale" organizzato dal Centro Studi Erickson nel novembre 2023 che: "L’inclusione è questione di tutta la comunità scolastica […] Dobbiamo, quindi, riprendere il tema della professione docente riducendo […] lo iato tra docenti con incarico disciplinare e docenti con incarico sul sostegno".
I dati Istat confermano l’esistenza di una frattura tra il lavoro del docente di sostegno e quello del docente curricolare evidenziando come solo il 7% del corpo docente, avvalendosi di nuove tecnologie, predispone materiali accessibili a tutti.
Queste criticità del sistema scolastico sono particolarmente evidenti nella scuola secondaria di secondo grado, dove quasi la metà degli alunni con certificazione 104 presenta una disabilità intellettiva, spesso in un quadro di comorbilità. Qui la distanza con i coetanei rispetto allo sviluppo cognitivo si accentua, rendendo necessaria l’individualizzazione del percorso. A questo punto serve fare una distinzione tra presa in carico della disabilità grave e della disabilità che non impedisce invece lo svolgimento della programmazione della classe pur con la necessaria personalizzazione. In quest’ultimo caso il docente di sostegno specializzato dovrebbe essere in grado di realizzare un ambiente d’apprendimento inclusivo in collaborazione con i docenti disciplinari, superando quelle resistenze che una parte dei docenti curricolari ancora manifesta. Nel caso della disabilità grave, invece, il processo di delega è connaturato al sistema, perché in quest’ordine di scuola l’attenzione dei docenti è focalizzata sulla trasmissione dei contenuti disciplinari e tiene ai margini la progettazione di attività inclusive, che vengono collocate al di fuori dell’orario scolastico, come i laboratori teatrali e musicali.
L’inclusione però non si costruisce semplicemente stando in classe tutti insieme, ha bisogno di conoscenza reciproca, di comunicazione, di empatia e si fonda sulla valorizzazione della ricchezza di ogni studente. Per fare questo servono attività progettate insieme a tutto il consiglio di classe, tempo e spazio per realizzarle in orario scolastico e l’impegno, la convinzione, la motivazione di tutti i docenti, al contrario molto spesso le attività sono ideate unicamente dal docente di sostegno e accolte tiepidamente, se non addirittura rifiutate in nome del programma da portare a termine.
I dati del Ministero dell’Istruzione aggiornati all’anno scolastico 20/21 evidenziano che nei licei gli alunni con disabilità sono solo l’ 1.4%, la percentuale aumenta nei tecnici , 2.7 % e sale notevolmente nei professionali, 7,7%. Le disabilità rappresentate dall’1,4% che frequenta il liceo sono la disabilità visiva, uditiva e motoria, mentre la disabilità intellettiva è concentrata nei professionali. Questi dati confermano che la situazione di disabilità intellettiva viene percepita incongruente rispetto ai percorsi liceali, confermando che la scuola vive ancora come prioritaria la trasmissione dei saperi, mettendo in secondo piano gli aspetti di formazione della persona. L’equivoco alla base di questo ritratto della realtà scolastica italiana è che la conoscenza dei contenuti e la formazione dell’individuo debbano percorrere itinerari diversi e solo occasionalmente incidenti, pensando in una logica di quantità che tanto ci ricorda le teste ben piene in contrasto con le teste ben fatte di Edgar Morin.
Una solida innovazione del sistema scolastico porterebbe invece ad identificare obiettivi trasversali e a modificare sostanzialmente il contesto scuola per renderlo realmente inclusivo, per tutti.
Nonostante queste criticità, vediamo quotidianamente esempi incoraggianti di inclusione scolastica in scuole di ogni ordine e grado. Esistono buone prassi che, anche se non sono ancora strutturali all’interno del sistema, sono comunque esempi e punti di ancoraggio fondamentali.
Come affermano D. Janes e A. Canevaro in Buone prassi di integrazione e inclusione scolastica: venti realizzazioni efficaci, "queste conoscenze e queste modalità spesso [..] non sono state documentate in modo replicabile […] Si usa poco l'intelligenza collettiva e reticolare, che si compone delle esperienze e degli scambi orizzontali con altri nella nostra situazione".
L’obiettivo di questo spazio all’interno del Blog è dunque anche condividere esperienze replicabili e proposte operative a livello nazionale e internazionale, nel tentativo di superare pregiudizi e dogmatismi.
Cristina Ferrigato e Francesca Neri