Modalità di contagio di COVID-19

a cura di

Contini.jpg  Prof. Carlo Contini (Dipartimento di Scienze Mediche, Sezione di Malattie Infettive)

Fadiga.jpg  Prof. Luciano Fadiga (Dipartimento di Scienze Biomediche e Chirurgico Specialistiche, Sezione di Fisiologia Umana)

Aggiornamento al 7 dicembre 2020

ll nuovo Coronavirus zoonotico (SARS-CoV-2) responsabile della malattia respiratoria pandemica da Coronavirus (COVID-19), è un nuovo ceppo di coronavirus mai descritto precedentemente nella specie umana che sembra provenire dal pipistrello (Rhinolophus hipposideros e Rhinolophus affinis) da cui, per l’effetto “spillover” è arrivato al genere umano senza passare per un ospite intermedio. È probabile che l’epidemia, diventata poi pandemia, abbia avuto origine a Wuhan nel dicembre 2019, nella provincia di Hubei in Cina, diffondendosi poi rapidamente in tutto il mondo e causando ad oggi oltre 67 Milioni di casi globali e 1.530 Milioni di decessi in quasi tutti i Paesi e l'Europa, in particolare l'Italia, che al 2 dicembre 2020, conta 1 milione e 730 mila casi e 60.078 decessi, tra la prima (Febbraio-Aprile 2020) e seconda ondata, iniziata a settembre e tuttora in corso. In Europa, i primi casi sono stati segnalati in Francia e Germania e poi in Italia e Spagna. In Francia, si ritiene che l'epidemia di COVID-19 sia iniziata tra la fine di dicembre 2019 e la fine di gennaio di quest’anno.

In generale, sulla base dei dati esistenti pubblicati fino ad oggi, e nella maggior parte dei casi (circa l’80%) dei pazienti infettati dal virus sviluppa una lieve infezione con febbre, tosse, faringite; in taluni (circa il 14%) una polmonite grave con severa dispnea; altri ancora (4.8%) possono andare incontro a insufficienza respiratoria ingravescente, shock settico con conseguente insufficienza multiorgano e morte (3%). È stato dimostrato che i pazienti critici sviluppano una sindrome da “distress respiratorio acuto” (ARDS) conseguente alla “Storm Cytokine Syndrome” e al “tromboembolismo polmonare” che richiede ricovero in unità di terapia intensiva. L'età media dei pazienti ricoverati in ospedale è di 57-79 anni, un terzo dei quali con patologie concomitanti. Con l’inizio dell’estate e la ripresa del turismo, si è verificata una transizione epidemiologica dell’epidemia da SARS-CoV-2 con un forte abbassamento dell’età mediana della popolazione (41 anni nel momento in cui si scrive) che contrae l’infezione. Allo stato attuale, inoltre, in Italia, il 35% dei contagi  riguarda persone sopra i 50 anni che per età sono più esposti ai rischi da COVID-19.

Come si ricerca SARS-CoV-2?

Allo stato attuale, l’unico strumento che si possiede per la diagnosi dell’infezione da SARS-CoV-2 è il tampone nasofaringeo per la ricerca dell’RNA virale. Il tampone rileva la vitalità del virus repertato; identifica cioè la presenza di RNA virale che in alcuni casi potrebbe anche provenire da residui virali non più vitali. Il singolo tampone ha il limite di fotografare un istante ben preciso e se un soggetto sintomatico o con pochi sintomi risulta negativo, bisogna ripetere il test. Si è visto inoltre che il tampone ha alcuni limiti, tra cui la bassa sensibilità e il relativo lungo periodo di tempo per avere il risultato, critico quest’ultimo per un individuo/paziente infetto. Uno studio della Johns Hopkins University ha evidenziato che dei tamponi eseguiti il 5° giorno dopo l'infezione, il 38% erano falsamente negativi, percentuale che scende al 20% l'8° giorno, quello raccomandato per eseguire il test. Dopo l'ottavo giorno (3 giorni dopo l'insorgenza dei sintomi) i risultati falsamente negativi ricominciano ad aumentare, passando dal 21% (IC, dal 13% al 31%) del giorno 9 al 66% (IC, dal 54% al 77%) del giorno 21.

Da poco sono entrati in commercio i cosiddetti “test antigenici rapidi su tampone naso-oro-faringeo o “salivari” che non ricercano il materiale genetico del virus, ma rilevano la presenza dell'antigene e quindi di un'eventuale infezione, attraverso la ricerca di proteine specifiche del virus. L'affidabilità, non è ancora paragonabile a quella dei test molecolari e la positività in alcuni contesti può richiedere la conferma del test molecolare.   Quest'ultimo, infatti, è in grado di rilevare una singola molecola di RNA virale in un microlitro di soluzione, mentre il test antigenico richiede che un campione contenga migliaia, se non addirittura decine di migliaia, di particelle virali per microlitro per riuscire a rilevare l'antigene del virus. Quindi, se la carica virale fosse bassa il test potrebbe erroneamente risultare negativo. Si è visto che la sensibilità di questi test è elevata in campioni raccolti alla comparsa dei primi sintomi e che superata la prima settimana si riduce notevolmente. Il test rapido quindi, può solo dire solo se SARS-CoV-2 c’è, oppure no. Per questa ragione, esso non può sostituire il tampone molecolare classico nella diagnosi approfondita, ma risulta uno strumento molto utile per lo screening di massa, indirizzando al tampone molecolare unicamente quei soggetti che sono risultati positivi ed escludere che si sia trattato di un cosiddetto falso-positivo. Grazie al basso costo e ai tempi rapidi di esecuzione, possono essere ripetuti dopo poco tempo o periodicamente su una persona o una determinata popolazione, per esempio, quella scolastica.

Test per la ricerca di SARS-COV-2

  • Tampone molecolare (naso-oro-faringeo)

Il più sicuro, identifica frammenti di RNA virale. Ha una sensibilità del 98% e una specificità del 99%. Esito in 6-8 ore.

  • Test antigenico o test rapido (naso-oro-faringeo)

Ricerca le proteine antigeniche di superficie del virus. Affidabilità del test minore (sensibilità 94%, specificità 97%) del tampone molecolare, ma sufficiente per un primo screening. Esame rapido con esito in 15 minuti.

  • Test salivare (saliva)

Meno invasivo, si cerca l'RNA virale o le proteine antigeniche di superficie del virus. Sensibilità e specificità variabili dal 91% al 98%. Esito in 1 ora per l'RNA, 15 minuti per l'antigene

 I Test sierologici

Sono esami che servono per capire se una persona, anche senza saperlo, ha già contratto COVID-19 in tempi più o meno recenti e pertanto rivestono solo un significato epidemiologico per stimare la diffusione dell’infezione all’interno di una comunità. I test, qualitativi rapidi o quantitativi, rintracciano nel sangue la presenza di immunoglobuline M (IgM) e immunoglobuline G (IgG) specifiche contro il virus SARS-CoV-2. I test sierologici non sono atti a diagnosticare la malattia in atto e non sostituiscono in nessun caso il test molecolare.  Poiché la presenza degli anticorpi indica solo che la persona è stata infettata ma non se è guarita e non più contagiosa, per confermare o escludere la contagiosità è necessario eseguire il tampone molecolare.

Attualmente, non si dispone di una cura risolutiva contro il virus. Le terapie attuali non sono infatti specifiche per SARS-CoV-2 e alcuni dei farmaci attualmente impiegati sono off-label, registrati e approvati, per indicazioni terapeutiche diverse rispetto a quelle per cui vengono invece prescritti, quali patologie parassitarie, reumatiche, ecc. Tra questi: l’idrossiclorochina (antimalarico con proprietà antivirali ed immunomodulanti),  gli antivirali anti-HIV (lopinavir/ritonavir, darunavir/ritonavir e darunavir/cobicistat) e  il  Remdesivir (antivirale utilizzato per contrastare il virus Ebola e recentemente autorizzato da FDA per il trattamento di SARS-CoV-2). Dei farmaci summenzionati, il Remdesivir sembra secondo l’OMS ed in attesa di ulteriori conferme, avere un effetto limitato sulla mortalità a 28 giorni o sul decorso ospedaliero del COVID-19 tra i pazienti ricoverati. Viceversa, un  suo utilizzo  sin dalle fase precoci e in formulazione aerosolizzata, potrebbe garantirne un maggiore successo (Solidarity Therapeutics Trial link).

Per l’idrossiclorochina, inizialmente utilizzata per contrastare l’infezione, mancano allo stato attuale prove definitive di efficacia in termini miglioramento dei sintomi e di riduzione della mortalità.

Ci sono poi i farmaci antinfiammatori utilizzati per altre patologie tra cui il “classico” desametazone che andrebbe somministrato prima che “l'incendio (infiammazione polmonare) divampi” con le ben note conseguenze anche tromboemboliche, oltre ai più recenti quali tocilizumab, baricitinib, camrelizumab, ecc che sembrano aver un buon controllo sull’infiammazione.

Accanto a questi, l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha autorizzato un nuovo studio multicentrico italiano, randomizzato, di fase II, che valuta l’efficacia e la sicurezza di Colchicina, vecchio farmaco utilizzato nei disturbi su base auto-infiammatoria e nella gotta, in pazienti affetti da COVID-19.

Le eparine a basso peso molecolare, farmaci antitrombotici ad azione anticoagulante, prevengono lo sviluppo di trombi. È stato infatti osservato che in corso di COVID-19, il peggioramento del quadro infiammatorio può essere correlato a un processo di “ipercoagulabilità” con una frequenza maggiore del normale. Per queste ragioni, è stato suggerito che le tali eparine, in particolare l’enoxaparina, possano essere utili per prevenire o arrestare tale processo, contribuendo così ad evitare danni irreversibili agli organi.

Da ricordare infine il plasma iperimmune contenente gli anticorpi neutralizzanti di pazienti guariti e convalescenti, che allo stato attuale, potrebbe rappresentare, in attesa di studi randomizzati, un presidio terapeutico specifico nei confronti di SARS-CoV-2. Diversi trials clinici sono attualmente in corso per testarne e garantirne la sua efficacia.

Anticorpi monoclonali

Per la produzione di questi ultimi di cui anche l’Italia è in fase avanzata di preparazione, sarà imminente la loro introduzione ed avranno indubbia efficacia, al pari di altre forme morbose, nell’attenuare ed impedire la progressione della malattia.

Vaccini

A causa della recente scoperta del virus e della difficoltà di prevedere il tipo di risposta immunitaria prodotta e soprattutto la sua durata, le strategie adottate risultano molto diversificate fra loro e di conseguenza, il tipo di vaccino in grado di proteggere dall’infezione. Interessanti prospettive stanno per aprirsi con 3 vaccini che stanno per essere introdotti in tempi molto rapidi: due ad RNA (Pfizer BionTech e Moderna), un altro, che utilizza un vettore virale derivato da un adenovirus non replicante, realizzato in seguito all’accordo tra l'Università di Oxford e l'azienda farmaceutica AstraZeneca, con il contributo dell'Istituto di ricerca IRBM di Pomezia. Tutti e tre vaccini consisteranno di 2 dosi ed avranno un’efficacia superiore al 90%. Al momento in cui si scrive, solo il vaccino Pfizer ha superato la fase 3 e sarà quello che verrà impiegato per primo in Italia e distribuito gratuitamente.

L'OMS raccoglie e aggiorna tutte le info sui vaccini in sperimentazione clinica che in fase pre-clinica al seguente link.

Vi è da chiedersi che posto che la vaccinazione sia in grado di evitare i sintomi e lo sviluppo della malattia, le persone che si vaccinano e entrano in contatto con SARS-CoV-2, potrebbero essere contagiose? Si tratta di una domanda alla quale la comunità scientifica non possiede ancora una risposta chiara e definitiva.

Contagio

Al pari di altri virus respiratori stagionali inclusi i CoVS responsabili di infezioni respiratorie delle prime vie aeree (OC43, NL63, HKU1 e 229E) che causano di solito sintomi lievi, tra cui il comune raffreddore o l'influenza soprattutto in età pediatrica, le principali modalità di trasmissione di SARS-CoV-2 sono rappresentate dalle seguenti modalità: 

1. Via aerea

E'  la via di trasmissione più importante. Il contagio avviene entro 5-7 giorni dall’esposizione (range 2-14 giorni; ma può arrivare a 3 settimane) da una persona all'altra (contatto diretto ravvicinato), attraverso droplets (goccioline di saliva o di Pflugge) generate delle vie aeree superiori da soggetti affetti da individui affetti da COVID-19 sintomatici, paucisintomatici e asintomatici in fase di incubazione della malattia. Le infezioni asintomatiche rappresentano quindi un’importante fonte di contagio anche se la frequenza effettiva non è nota.  Alcuni studi basati su modelli previsionali hanno stimato che circa l'80% dei contagi possa essere dovuto a soggetti non identificati come positivi al virus al tampone nasofaringeo. In questa categoria rientrano, però, sia chi non aveva sintomi, sia persone con sintomi lievi non sottoposti a tampone. Non è pertanto possibile stimare quale sia la quota dei contagi dovuta a veri e propri asintomatici, sebbene si presuma che sia molto elevata. Si è calcolato che in Italia il numero degli asintomatici possa essere oltre i 10.000.00. Si presume che ci siano diverse categorie di asintomatici di SARS-CoV-2:

  • Asintomatici che resteranno tali e che sono portatori sani del virus. Questi potrebbero avere una bassa carica virale e quindi bassa probabilità di contagiare.
  • Asintomatici che dopo qualche giorno (da 1 a 3 giorni) svilupperanno i sintomi, i cosiddetti pre-sintomatici, ovvero quelli in fase di incubazione; questi presenterebbero invece una più alta carica virale con una conseguente maggiore probabilità di essere contagiosi.
  • Paucisintomatici, ovvero soggetti che presentano sintomi lievissimi e che possono passare inosservati, con una carica virale ancora diversa e probabilmente più elevata.
  • Soggetti «non più sintomatici», quelli che sono guariti e che dopo due tamponi negativi tornano ad essere positivi. Questi ultimi hanno probabilmente carica virale bassissima o addirittura nulla e non sono in grado di trasmettere l'infezione.

Le ricerche sull'infezione asintomatica tra le persone positive al tampone è attualmente in corso in tutto il mondo.

La trasmissione diretta dei principali patogeni respiratori e quindi anche di SARS-CoV-2 da persona a persona avviene mediante droplets quando la distanza è ravvicinata (1-2 metri). Se le droplets provenienti da una persona infetta vengono direttamente a contatto con le mucose (bocca, occhi, naso) di un soggetto recettivo o anche indirettamente dopo aver toccato le sue mani od oggetti contaminati, il virus può introdursi nell’organismo e causare infezione. 

Le droplets sono prodotte e diffuse nell’ambiente mentre parliamo, respiriamo, tossiamo o starnutiamo. Val la pena precisare che l'aria espulsa con un colpo di tosse viaggia alla velocità di oltre 80 chilometri all'ora e trasporta fino a 3.000 droplets. Uno starnuto, invece, può arrivare ad a una velocità di oltre 150 chilometri all'ora e può espellere fino a 40.000 droplets infette. Non si sa ancora quante particelle virali siano necessarie per dare origine ad un contagio. Nel caso della SARS, uno studio aveva stimato essere inferiore a 1.000, un numero forse maggiore rispetto a quelle rinvenute a Wuhan. Le droplets più grosse (>5 micron di diametro) rimangono sospese nell’aria per poco tempo e sono in grado di percorrere una distanza breve, massimo 1-2 metri, poi cadono per terra e non rimangono sospese nell’aria. Le particelle virali contenute nelle droplets più piccole (<5μ) e costituenti gli aerosol generati da persone infette, possono fluttuare nell'aria come sospese in una nube, non cadono per terra, e possono essere inspirate da coloro che vi stanno vicini soprattutto quando l’ambiente è chiuso e non ventilato, andando così incontro a contagio. Per tale ragione, tutti i luoghi chiusi e soprattutto senza o scarso ricambio d’aria quali uffici, cinema, bar, pub, ristoranti, teatri, scuole, università, supermercati, negozi, mezzi pubblici, stazioni ferroviarie, aeroporti e bagni, possono essere considerati luoghi a rischio per la diffusione di SARS-CoV-2. Sulla base di recenti studi, stare a lungo in un luogo chiuso con una persona infetta che respira la stessa aria e che non indossa la mascherina o non mantiene il distanziamento, aumenta il rischio di infezione. Ciò dimostra che il tempo di esposizione al virus è un fattore chiave nella diffusione del SARS-CoV-2.

SARS-CoV-2 si può trasmette direttamente anche per via oculare, visto che in tamponi effettuati in questo distretto sono state rilevate tracce di virus attivo sia in fase precoce che tardiva della malattia. Gli occhi perciò oltre ad essere una porta d’ingresso del nuovo coronavirus, possono essere pure una fonte di trasmissione del contagio. La congiuntivite infatti, è uno dei sintomi del COVID-19 ed è spesso indistinguibile da altre congiuntiviti virali.

Da non trascurare anche la categoria dei cosiddetti  super-diffusori” di difficilissima identificazione e che rappresentano uno dei maggiori problemi nell’espansione della pandemia COVID-19. Diversi studi hanno dimostrato che in casi estremi, una singola persona infetta può diffondere il virus a dozzine di persone. Si ritiene infatti che alcune persone infette possono avere una carica virale più elevata e quindi rilasciare più virus come si è visto in passato con la SARS e con la MERS. Ciò significa che è probabile che la saliva e gli aerosol contengano una maggiore concentrazione di particelle virali, rendendo quella persona più contagiosa.

Indici di trasmissibilità di SARS-CoV-2 

Inizialmente in Italia, all’inizio dell’epidemia, l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha calcolato per l’infezione da SARS-CoV-2 e nelle regioni dal virus, l’R0. Esso rappresenta la media di infezioni secondarie generate da un singolo individuo infetto in una popolazione che non è mai venuta a contatto con il nuovo patogeno, cioè il “numero di riproduzione di base” di una malattia infettiva, un indice che, quanto più è elevato, tanto più indica un maggiore rischio di diffusione dell’epidemia. R0, per l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) era tra 1,4 e 2,5 % (range 2,2 - 3,58). Ciò significa che una persona era in grado inizialmente (nei primi mesi della pandemia), di contagiarne altre due o poco più del 2%.  Per la  SARS e la MERS, l’R0 è stato rispettivamente 2,0 e < 1%. In confronto, l’R0 per l'influenza comune è 1,3 % (IQR 1,19-1,37); per il morbillo invece, l’R0 è solitamente riportato essere tra 12-18 %. Questi valori, come riportato dall’ISS, grazie al lockdown attuato per fronteggiare l’emergenza, sono scesi con il passare dei mesi, sotto il valore di 1 in tutte le regioni italiane con lievi oscillazioni rendendo così possibile l’avvio della Fase 2 e la riapertura delle regioni. Durante la Fase 2 dell’infezione, è emerso un altro indicatore che ha sostituito l’R0. Si chiama RT. Esso è l’indice di riproduzione di un virus in riferimento a un determinato momento nel corso di un’epidemia: descrive il tasso di contagiosità dopo l’applicazione delle misure adottate per contenerne la diffusione. Se esso ha un valore inferiore a 1 (<1), le nuove infezioni tenderanno a decrescere e l’epidemia a esaurirsi fino a spegnersi; se supera 1 (>1), tanto più rapidamente aumenterà il numero dei contagi.

2. Contatto indiretto

SARS-CoV-2 si può anche trasmettere toccando con le mani oggetti o superfici contaminate da secrezioni (saliva, secrezioni nasali, espettorato) di persone infette, che poi toccano bocca, naso o occhi senza esserle lavate. Le mani quindi, devono essere sempre lavate accuratamente con acqua e sapone o soluzioni antisettiche a base di alcool etilico denaturato (si vedano anche le indicazioni dell’ OMS sul lavaggio delle mani). Dati sperimentali recenti relativi alla persistenza del virus SARS-CoV-2, suggeriscono  la presenza di particelle virali infettanti fino a mezz’ora sulla carta da stampa, un giorno sul tessuto e legno, due giorni sulle banconote e sul vetro e fino a quattro giorni sulla plastica e sulle mascherine chirurgiche (lo strato interno), mostrando anche un decadimento esponenziale del titolo virale nel tempo.  Ci sono altresì numerose superfici che vengono inevitabilmente toccate e sulle quali si accumulano numerose “particelle virali fresche” e potenzialmente infettanti. E’ stata anche sottolineata la facilità di inattivazione di SARS-CoV-2 nell’arco di pochi minuti con procedure di disinfezione delle superfici con etanolo (62-71%), perossido di idrogeno (0,5%) o ipoclorito di sodio (0,1%). Risultano meno efficaci il cloruro di benzalconio (0,05-0,2%) e la clorexidina digluconato (0,02%).

3. Via oro-fecale

La via di trasmissione fecale-orale rimane da determinare, anche se l’RNA di SARS-CoV-2 è stato dimostrato nelle feci e nei campioni di tampone rettale dei pazienti infetti che può persistere anche dopo la scomparsa dei sintomi respiratori e quando i tamponi oro-faringei risultano negativi. La ricerca del virus potrebbe rivelarsi ancora più efficace nel segnalare la definitiva scomparsa del virus dall’organismo.

4. Via verticale

Anche se le donne incinte sono costitutivamente meno a rischio di infezioni da SARS-CoV-2, come avvenuto per SARS e MERS, probabilmente a causa di fattori genetici e dell’ ospite, nella maggior parte delle donne che hanno contratto COVID-19 da lieve a moderata, non si è verificato un aumento del rischio di aborto spontaneo e di parto pretermine.

5. Via sessuale

Non esistono prove che SARS-CoV-2 sia presente nelle secrezioni vaginali o nel liquido seminale. Non è pertanto possibile trasmettere il COVID-19 attraverso i rapporti sessuali.

 

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