Alzheimer | A Unife il primo studio italiano finanziato dal Cure Alzheimer’s fund
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I primi sintomi sono lievi: disorientamento, problemi di memoria, impoverimento del linguaggio. Ma nel corso del tempo le funzioni cognitive di chi soffre di Alzheimer si deteriorano sempre di più, in maniera drammatica e irreversibile. Finché la persona malata che abbiamo accanto diviene un’estranea, proiettata in una dimensione aliena a cui noi non abbiamo più accesso.
Trovare una cura per questa malattia tanto insidiosa è ancora oggi una sfida aperta, nonostante sia stata oggetto di studi intensi, sperimentali e clinici, per molti decenni.
“Molti ricercatori sono convinti che le attuali strategie di ricerca non abbiano alcun futuro. Ciò ha portato alcune delle più importanti aziende farmaceutiche ad abbandonare la ricerca sulla malattia di Alzheimer. Quindi, tutte le principali associazioni internazionali che sostengono gli studi in questo campo sollecitano con urgenza idee originali che indichino nuovi approcci terapeutici”, spiega il professor Francesco Di Virgilio, del Dipartimento di Scienze Mediche di Unife, responsabile del laboratorio a cui fa capo il progetto.
Va in questa direzione il nuovo protocollo sperimentale proposto dall’Università di Ferrara, destinatario di un importante finanziamento da parte della Cure Alzheimer’s fund, anche noto come Alzheimer’s Disease Research Foundation, una delle maggiori organizzazioni non-profit statunitensi che finanziano le ricerche sul morbo di Alzheimer.
“È un incarico molto importante: è la prima volta che un gruppo di ricerca italiano riceve un finanziamento da questa organizzazione” commenta il professore Di Virgilio.
Dalla durata biennale, il progetto è incentrato su due linee sperimentali. In primis, l’inibizione di un recettore, denominato P2X7, presente sulla microglia, una particolare popolazione di cellule infiammatorie del sistema nervoso centrale. La seconda parte prevede la modulazione nel fluido interstiziale cerebrale della concentrazione della principale molecola energetica presente nei sistemi biologici, l’adenosina trifosfato (ATP).
“Studi recentissimi dimostrano che la sovra-stimolazione del recettore P2X7 e l’accumulo di ATP nell’interstizio cerebrale sono potenti stimoli della neuro-infiammazione, uno dei principali fattori patogenetici nella malattia di Alzheimer. Pertanto si ritiene che la mitigazione di questi agenti possa ritardare o addirittura bloccare la progressione della malattia” argomenta il professore.
A condurre lo studio, accanto al professor Di Virgilio, anche la professoressa Paola Pizzo dell’Università di Padova.
“Questa è un’occasione unica di sfruttare le sinergie derivanti dalla disponibilità di strumenti di indagine avanzati, un’amplissima casistica di casi clinici a ogni stadio di progressione, e un’ipotesi sperimentale assolutamente originale”, ha commentato la Prof.ssa Pizzo.
Come commento finale il Prof. Di Virgilio ci ha detto:
“È sempre molto importante osservare la realtà con sguardo ingenuo e privo di pregiudizi perché: “There are more things in heaven and earth, Horatio, than are dreamt of in your philosophy”. Così diceva Amleto al suo amico Orazio”.