Archeologia | Scoperta in Italia la più antica sepoltura europea di una neonata
Scienza, cultura e ricerca
Un artiglio di gufo reale, un fagotto di pelle, numerosi ciondolini e perline realizzati con gusci di conchiglie forate. Sono alcuni degli oggetti ritrovati nella tomba di Neve, una bambina vissuta nell’entroterra di Albenga, in Liguria, circa 10 mila di anni fa.
Mai prima d’ora era stata documentata in Europa la sepoltura di una neonata nel periodo Mesolitico. La scoperta ha dunque un valore inestimabile per le/gli archeologi che l’hanno rinvenuta e studiata. Tra loro, il Professor Marco Peresani del Dipartimento di Studi Umanistici di Unife:
“I riti funerari dei nostri antenati hanno un enorme significato culturale: consentono di indagare aspetti comportamentali e ideologici” spiega Peresani.
“In questo caso, la tomba della neonata - che abbiamo sopranominato Neve - dimostra che nelle società del Mesolitico anche le femmine più giovani erano riconosciute come persone a pieno titolo” aggiunge il coordinatore e responsabile scientifico del progetto, Professor Fabio Negrino dell’Università di Genova.
Alcuni dei reperti ritrovati nella tomba di Neve
Dalle analisi scientifiche indicazioni sulla neonata e la madre
A partire dal 2017, anno del ritrovamento della sepoltura, i reperti sono stati sottoposti a diverse analisi scientifiche che hanno permesso di ottenere numerose informazioni:
“L’analisi del genoma e di una particolare proteina che si trova nelle gemme dentarie hanno rilevato che il neonato era femmina e apparteneva a un lignaggio di donne europee noto come aplogruppo U5b2b. La datazione al radiocarbonio ha inoltre permesso di stabilire che la neonata era vissuta 10.000 anni fa circa, durante il Mesolitico antico, nella prima fase dell’Olocene” continua Peresani.
“L’istologia virtuale delle gemme dentarie della neonata ha stabilito l’età della morte di Neve: è avvenuta 40-50 giorni dopo la nascita. L’analisi ha anche evidenziato come la madre di Neve avesse subito alcuni stress fisiologici, forse alimentari, che hanno interrotto la crescita dei denti del feto 47 e 28 giorni prima del parto” racconta il Professore. “L’analisi del carbonio e dell'azoto, sempre estratto dalle gemme dentarie, ha inoltre evidenziato che la madre si nutriva seguendo una dieta a base di prodotti derivanti da risorse terrestri, come ad esempio animali cacciati, e non marine (pesca o molluschi)”.
Infine, lo studio degli ornamenti costituiti da conchiglie cucite su di un abitino o un fagotto in pelle, ha evidenziato la particolare cura che era stata investita nella loro produzione.
“Diversi ornamenti mostrano un'usura che testimonia come fossero stati prima indossati per lungo tempo dai membri del gruppo e solo successivamente impiegati per adornare la veste della neonata”.
Un momento dello scavo che ha portato alla luce la sepoltura
La scoperta della sepoltura
La sepoltura di Neve è stata rinvenuta ad Arma Veirana, una grotta ligure del comune di Erli, nell’entroterra di Albenga, in provincia di Savona.
“Si tratta di una cavità lunga una quarantina di metri e dalla curiosa forma a capanna, nota da tempo agli abitanti della Val Neva. Si trova lontana dalla costa ed è di difficile accesso, per cui non è mai stata oggetto di indagini archeologiche programmate. In passato solo alcuni scavatori "clandestini" avevano portato in luce reperti riferibili a frequentazioni umane del Paleolitico medio (uomo di Neanderthal) e del tardo Paleolitico superiore (Homo sapiens). Finchè, nel 2006, l'ex-conservatore del Museo Archeologico del Finale consegnò alla Soprintendenza alcuni reperti e fece conoscere il sito alla comunità scientifica” spiegano i ricercatori.
Il team ha dedicato due campagne di scavo, nel 2015 e 2016, a indagare il deposito prossimo all'imboccatura della cavità, mettendo in luce livelli che contenevano manufatti litici datati a oltre 50.000 anni fa e tipici degli uomini di Neanderthal.
Furono trovati anche resti di cibo, come ossa fratturate e con tagli di macellazione attribuibili a cervi e cinghiali, nonché residui di grasso carbonizzato. Nella porzione sommitale inoltre vennero in luce livelli datati alla fine del Paleolitico superiore e relativi a frequentazioni di raccoglitori-cacciatori di 16-15.000 anni fa.
"Nel 2017, ampliando le attività di scavo verso la parte più interna della cavità, apparvero alcune conchiglie forate; si iniziò quindi a sospettare la presenza di una possibile sepoltura. E così accadde. Pochi giorni dopo, scavando in maniera molto attenta e accurata, utilizzando strumenti per dentisti e un piccolo pennello, furono messi in luce quello che restava di una calotta cranica e i primi elementi di corredo".
Per saperne di più
L’articolo “An infant burial from Arma Veirana in northwestern Italy provides insights into funerary practices and female personhood in early Mesolithic Europe” è stato pubblicato il 14 dicembre su Scientific Reports (Nature).
Il team è coordinato da ricercatori italiani, Stefano Benazzi dell’Università di Bologna, Fabio Negrino dell’Università di Genova e Marco Peresani dell’Università di Ferrara, nonché delle Università di Montreal (Canada), della Washington University (USA), dell'Università di Tubinga (Germania) e dell'Institute of Human Origins dell’Arizona State University (USA). Jamie Hodgkins, archeozoologa all’University of Colorado Denver, ha qui lavorato insieme a suo marito Caley Orr, anche lui paleoantropologo nella stessa università.
La ricerca, lo scavo e l'analisi dei reperti sono stati resi possibili grazie ai finanziamenti di The Wenner-Gren Foundation, Leakey Foundation, National Geographic Society Waitt Program, Hyde Family Foundation, Social Sciences and Humanities Research Council (SSHRC), European Union’s Horizon 2020 Research and Innovation Programme (ERC n. 724046 SUCCESS), Hidden Foods ERC e Max Planck Society.
Le attività di scavo e di ricerca sono state condotte in regime di concessione da parte del Ministero dei Beni Culturali, per conto della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Imperia e Savona, rilasciata al Professore Fabio Negrino, in quanto coordinatore e responsabile scientifico del progetto.
di CHIARA FAZIO