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Archeogenetica | Batteri orali e carboidrati, una sorpresa per la nostra storia evolutiva

11/05/2021

Scienza, cultura e ricerca

Archeogenetica | Batteri orali e carboidrati, una sorpresa per la nostra storia evolutiva
I cinque denti di Neandertal, datati da 70 a 50 mila anni fa, da cui è stata raccolta la placca oggetto dello studio.

Persino la semplice placca che ricopre i nostri denti, e che spazzoliamo via attentamente ogni giorno contiene, in realtà, piccoli ma straordinari indizi riguardo all’evoluzione della nostra specie e alla nostra salute giornaliera.

In un articolo appena pubblicato sulla rivista scientifica PNAS, un gruppo internazionale di genetisti e paleoarcheologi ha messo a confronto la placca dentale trovata in fossili di Sapiens e Neandertal con quella presente sui denti di scimpanzé, gorilla e scimmie urlatrici. L’approccio ha coinvolto un nutrito gruppo di collaboratori operanti in diversi campi scientifici e ha permesso di ricostruire una completa immagine del nostro passato.

Tra gli autori del lavoro, il professor Marco Peresani dell’Università di Ferrara, che dirige gli scavi nei siti archeologici di Grotta de Nadale (Vicenza) e Grotta di Fumane (Verona) da cui provengono i denti decidui di Neandertal analizzati, risalenti rispettivamente a 70mila e 54-47 mila anni fa.

“L’analisi della placca dentale fossile ha identificato dieci gruppi di batteri che hanno fatto parte del nostro bioma per oltre 40 milioni di anni, e che sono inoltre condivisi con altre specie di primati da oltre 40 milioni di anni. Questi batteri ricoprono funzioni essenziali per la nostra salute orale ma sono raramente studiati, e in alcuni casi nemmeno conosciuti!” spiega Peresani.

Dal confronto tra le specie batteriche ritrovate nei denti dei nostri diretti antenati Sapiens, nei Neandertal e in quello dei primati emerge anche un dato sorprendente:  

“Nonostante le molte similitudini con altri primati, lo studio ha rivelato che il nostro microbioma è in realtà più simile a quello dell’Uomo di Neandertal, fino a risultare da quest’ultimo quasi indistinguibil” continua James A. Fellows Yatesa, giovane ricercatore del Max Planck Institut di Monaco (Germania), primo autore dell’articolo.

Lo studio però mette in luce anche alcune differenze, grazie alle quali è stato possibile rivelare che i Sapiens che popolavano l’Europa durante l’ultima Era Glaciale possedevano alcuni ceppi batterici in comune con i Neandertal, sebbene questi ceppi non siano più presenti nella nostra specie al giorno d’oggi. 

Altra scoperta interessante riguarda un differente gruppo di batteri specificamente adattato a consumare l’amido e i carboidrati, identificato sia nei Sapiens che nei Neandertal:

“Sorprendentemente, questo risultato suggerisce che cibi contenenti amido potrebbero essere entrati a far parte della dieta umana molto prima dell’introduzione dell’agricoltura: addirittura anche prima della comparsa degli uomini anatomicamente moderni” argomenta Marco Peresani.

Cibi di questo tipo, come radici, tuberi e semi, sono ricche fonti di energia. Per questo, la transizione dei nostri antenati verso una dieta ricca in amido potrebbe essere messa in relazione con i cambiamenti nell’architettura del cervello che caratterizzano la nostra specie Homo sapiens, ma che hanno anche favorito l’aumento encefalico dei neandertal. 

Ricostruire il menu dei nostri antenati, grazie anche allo studio dei batteri orali, potrebbe quindi aiutare a comprendere i primi cambiamenti nella dieta che hanno contribuito a renderci distintamente umani.

“Il nostro microbioma orale si è evoluto di pari passo con la nostra specie per oltre un milione d’anni, e c’è ancora molto da scoprire. Persino la semplice placca che ricopre i nostri denti, e che spazzoliamo via attentamente ogni giorno contiene, in realtà, piccoli ma straordinari indizi riguardo all’evoluzione della nostra specie e alla nostra salute giornaliera” conclude il professore Marco Peresani

L’articolo scientifico The evolution and changing ecology of the African hominid oral microbiome è stato pubblicato oggi 5 maggio 2021 sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences

Gli autori dello studio sono: James A. Fellows Yatesa, Irina M. Velskoa, Franziska Arona, Cosimo Postha, Courtney A. Hofmand, Rita M. Austind, Cody E. Parkera Allison E. Manng, Kathrin Nägelea, Kathryn Weedman Arthur, John W. Arthurh, Catherina C. Baueri, Isabelle Crevecoeurj, Christophe Cupillardk, Matthew C. Curtism, Love Dalénn, Marta Díaz-Zorita Bonillap, J. Carlos Díe, Fernández-Lomanar, Dorothée G. Druckers, Elena Escribano Escrivát, Michael Franckenu, Victoria E. Gibbonv, Manuel Gonzalez Moralesw, Ana Grande Mateux, Katerina Harvatiy, Amanda G. Henryaa, Louise Humphrey, Mario Menéndezcc, Dušan Mihailovic, Marco Peresani, Sofía Rodríguez Moroderff, Mirjana Roksandicgg, Hélène Rougierhh, Sandra Sázelováii, Jay T. Stockjj, Lawrence Guy Strausmm, Jirí Svobodaii, Barbara Teßmannoo, Michael J. Walkerqq, Robert C. Powerb, Cecil M. Lewisd, Krithivasan Sankaranarayanan, Katerina Guschanskitt, Richard Wranghamvv, Floyd E. Dewhirstww, Domingo C. Salazar-Garciayy, Johannes Krausea, Alexander Herbiga and Christina Warinnera.

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A cura di CHIARA FAZIO