Biotecnologie | Dall’ingegneria proteica di Unife la supermolecola per migliorare la cura dell’emofilia B
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Modificare la molecola di un farmaco per renderlo migliore, esattamente come fa un meccanico quando potenzia il motore di un'auto per migliorarne le prestazioni. Nasce da raffinate tecniche di bioingegneria la nuova proteina messa a punto a Unife per la cura dell’emofilia di tipo B.
Il super-farmaco presenta delle caratteristiche innovative che potrebbero migliorare significativamente la qualità della vita delle persone che soffrono di malattie emorragiche.
“Le terapie attualmente in uso per la cura delle malattie emorragiche, come l’emofilia, agiscono ripristinando la normale coagulazione del sangue, una funzione essenziale per il nostro organismo e di cui gli emofilici sono carenti. Purtroppo però questi farmaci presentano dei grossi limiti legati alla loro durata limitata nel sangue, e le/i pazienti sono obbligate/i a sottoporsi ogni settimana a ripetute infusioni di farmaco” illustra il dott. Alessio Branchini, del Dipartimento di Scienze della Vita e Biotecnologie e coordinatore dello studio.
Insieme a lui, il team Unife composto dal professor Mirko Pinotti, dalla dottoressa Silvia Lombardi, prima autrice dello studio, dal dottor Mattia Ferrarese, in collaborazione con il gruppo del professor Jan Terje Andersen della University of Oslo.
“La nuova molecola che abbiamo sviluppato è un prodotto biotecnologico chiamato “proteina di fusione”. Si tratta di una proteina in cui siamo riusciti a combinare due diverse molecole con caratteristiche interessanti: l’albumina, che è naturalmente prodotta dal nostro organismo e ha una durata nel sangue addirittura di settimane, e il fattore IX della coagulazione, cioè la proteina utilizzata per trattare l’emofilia B” spiega la dott.ssa Silvia Lombardi.
“Abbiamo poi ulteriormente modificato le due componenti, così da estendere il periodo d’azione. Da una parte, siamo riusciti a selezionare una forma specifica di albumina, capace di rimanere nel sangue molto più a lungo. Dall’altra, abbiamo potenziato la capacità coagulante del fattore IX della coagulazione. Risultato: una nuova molecola “ingegnerizzata” dove ogni singolo componente è “super”, aggiunge Branchini.
L’impatto della ricerca è anche traslazionale, ossia di più ampio respiro rispetto al solo campo specifico di applicazione, come puntualizza il prof. Mirko Pinotti.
“Questa tecnologia, così come l’approccio biotecnologico da noi usato, può essere esteso ad altre molecole di interesse terapeutico, così come ad altre patologie anche oltre la coagulazione, rendendo questo stesso approccio davvero intrigante per le sue potenzialità di applicazione”.
Gli autori dello studio sottolineano tuttavia che l’iter è ancora lungo perché questa nuova molecola possa essere davvero un farmaco a disposizione dei pazienti, in quanto al momento è stata testata soltanto a livello pre-clinico. Allo stesso modo commentano:
“Sarebbe un sogno se potesse diventare effettivamente disponibile per i pazienti, perché avremmo raggiungo lo scopo ultimo della nostra ricerca, così come della Ricerca in generale, ossia quello di arrivare alle persone e migliorarne la vita, in tutti i suoi aspetti. Non è la malattia a identificare una persona, e la possibilità di migliorare sempre di più le cure aiuta anche a far prevalere la persona sulla malattia”.
Per saperne di più
I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista British Jornal of Haematology.
L’articolo originale è: Fusion of engineered albumin with factor IX Padua extends half-life and improves coagulant activity.
La lista completa degli autori: Silvia Lombardi, Kristin H. Aaen, Jeannette Nilsen, Mattia Ferrarese, Torleif T. Gjølberg, Francesco Bernardi, Mirko Pinotti, Jan T. Andersen, Alessio Branchini.
Per approfondire: Biotecnologie | Dall’ingegneria proteica i super-farmaci ad alta stabilità contro l’emofilia
A cura di CHIARA FAZIO