James Webb Space Telescope | Unife partecipa alle analisi dei dati
Scienza, cultura e ricerca
Ci sono anche gli astrofisici dell’Università di Ferrara tra le/gli scienziati che stanno analizzando i dati provenienti dal James Webb, il più grande telescopio mai inviato nello spazio le cui prime, spettacolari immagini dell’Universo hanno incantato il mondo nelle scorse settimane.
Le metodologie sviluppate a Unife permetteranno di sfruttare i dati per scoprire le prime regioni di formazione stellare nell’Universo, a soli 200-300 milioni di anni dopo il Big Bang, e di investigare con maggiori dettagli la distribuzione della materia oscura negli ammassi.
A guidare il gruppo il Professor Piero Rosati del Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra di Unife, che commenta così la straordinarietà delle scoperte:
“I primi dati del telescopio James Webb che stiamo analizzando dimostrano che il telescopio e tutti gli strumenti a bordo funzionano egregiamente già in queste prime fasi. La sensibilità delle osservazioni e la nitidezza delle immagini sono anche migliori degli obiettivi prefissati.
Un risultato sbalorditivo se si considera la complessità della strumentazione e del processo di deployment del telescopio, che è a volte difficile ottenere anche con telescopi da Terra. Un lancio perfetto del lanciatore Arianne ha permesso di risparmiare carburante allungando la vita di James Webb a oltre 20 anni.
Non c’è dubbio che nei prossimi decenni Webb contribuirà decisamente ad ampliare e trasformare le nostre conoscenze in molti campi dell’astrofisica, dagli eso-pianeti alle prime stelle nell’Universo, dai buchi neri alla materia oscura. Ci saranno molti risultati di James Webb nei libri di astrofisica del 2050”.
Il gruppo guidato dal Professor Rosati, composto da ricercatrici, ricercatori, ex-studenti e assegnisti, fa parte della collaborazione internazionale “GLASS-ERS”, che coinvolge lo stesso Rosati e l’assegnista Giuseppe Angora, e del progetto PRIN “ZOOMING” (Zoom in Observations Of Massive clusters and INfant Galaxies), di cui Rosati è responsabile nazionale. Al centro degli studi del gruppo, il Il fenomeno del “lensing gravitazionale”.
Il professor Piero Rosati del del Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra di Unife
James Webb Space. Una sensazionale finestra sull’Universo
Le prime, spettacolari immagini scientifiche ottenute con il James Webb Space Telescope sono state rilasciate nei giorni scorsi.
Si tratta del più grande telescopio mai inviato nello spazio, lanciato il 25 dicembre 2021, grazie alla collaborazione internazionale tra l'Agenzia spaziale statunitense (NASA), l'Agenzia spaziale europea (ESA) e l'Agenzia spaziale canadese (CSA).
“Il James Webb Space è un telescopio con uno specchio composto di 18 segmenti esagonali, con un diametro di 6.5 m, quindi circa 7 volte l’area collettrice del telescopio spaziale Hubble, che estende la finestra di osservazione al vicino e medio infrarosso. Dopo circa un mese, il telescopio ha raggiunto una zona di “parcheggio” (il cosiddetto punto Lagrangiano L2) ad un milione e mezzo di Km dalla Terra, si e’ spiegato come un origami e ha iniziato una fase di test e messa a punto dei molteplici strumenti a bordo, completata con successo a fine giugno.
Le osservazioni infrarosse permettono di rendere visibile oggetti e regioni dello spazio altrimenti oscurate dai gas e dalle polveri nello spettro visibile, come le nubi molecolari dalle quali si formano le stelle, i dischi proto-planetari attorno a stelle giovani, o i nuclei delle galassie di annidano buchi neri super-massicci.
Inoltre, le osservazioni nell’infrarosso compensano permettono di compensare lo spostamento verso il rosso della luce proveniente da galassie primordiali, dovuto all’espansione dell’Universo. Le prime immagini catturate dai diversi strumenti a bordo, per mostrare il loro perfetto funzionamento, hanno sbalordito il pubblico e la stessa comunità scientifica, raggiungendo regioni remote ed inesplorate dello spazio con dettagli senza precedenti” spiega Rosati.
Una lente gravitazionale per guardare l’Universo vicino al Big Bang
"La prima immagine, mostrata in anteprima dal presidente Biden alla Casa Bianca l’11 luglio, rappresenta l'ammasso di galassie SMACS 0723, la cui luce ha impiegato oltre 4 miliardi di anni a raggiungere la Terra. L’enorme concentrazione di massa deforma lo spazio-tempo intorno all’ammasso che agisce come una lente gravitazionale. In questo modo le immagini di galassie posizionate dietro l’ammasso vengono distorte e curvate, ma allo stesso modo anche amplificate. SMACS 0723 agisce così come un telescopio cosmico che in combinazione con James Webb permette di rivelare galassie ancora piu’ distanti, e quindi indietro nel tempo fino a solo qualche centinaia di milioni anni dopo il Big Bang, ossia oltre 13 miliardi di anni fa".
La prima immagine realizzata dal JWST (credits: NASA, ESA, CSA, STScI)
Gli ultimi momenti di una stella simile al Sole
"Un’altra immagine mostra una nebulosa planetaria NGC 3132, detta Southern Ring, a 2500 anni luce da noi, con strati di gas e polvere che sono stati espulsi nelle ultime fasi di vita di una stella di massa intermedia (simile a quella del Sole), dopo la fusione dell’idrogeno ed elio, lasciando al centro una nana bianca, un nucleo molto caldo delle dimensioni della Terra, ma 200,000 volte piu’ denso. Le immagini delle due camera operanti nel vicino e medio infrarosso rivelano dettagli finora mai visti negli strati di materia in espansione e una seconda stella la nana bianca. L’espulsione di massa nelle nebulose planetarie rappresenta uno dei meccanismi con i quali il mezzo interstellare viene arricchito di elementi pesanti sintetizzati all’interno delle stelle".
La nebulosa planetaria NGC 3132 N (credits: NASA, ESA, CSA, STScI)
Eso-pianeti e atmosfere paragonabili a quelle terrestri
"Tra le primi immagini è stato anche mostrato uno spettro, ossia la scomposizione della luce in diverse lunghezze d’onda, dell’atmosfera di un pianeta extra-solare gigante (con una massa pari a meta’ di quella di Giove), scoperto nel 2014, che orbita molto vicino ad una stella di tipo solare (chiamata WASP-96). Tale spettro viene misurato sfruttando il passaggio del pianeta davanti alla stella, in modo che la luce della stella venga assorbita dall’atmosfera dell’eso-pianeta.
La qualità senza precedenti di questo spettro nel vicino infrarosso permettono di determinare la composizione chimica dell’atmosfera del pianeta, in tal caso la presenza di vapore acqueo, la sua temperatura e perfino la presenza di nubi. La frontiera e’ quella di determinare bio-marcatori nelle atmosfere pianeti rocciosi simili alla Terra".
Lo spettro WASP-96b (credits: NASA, ESA, CSA, STScI)
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A cura di CHIARA FAZIO