Astrofisica | Nuova traccia sui secondi che precedono un buco nero. Unife nel team insieme a NASA, Berkley e Harvard
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È la storia ai raggi X di una kilonova, l’esplosione causata dalla fusione di corpi celesti super-densi, quella descritta nello studio recentemente pubblicato su The Astrophysical Journal Letters. Un lavoro che ha dell’eccezionale, poichè avrebbe permesso agli scienziati di acquisire una nuova prova indipendente e mai vista prima che descrive cosa accade nei secondi che precedono la formazione di un buco nero.
Lo studio è stato condotto grazie alle osservazioni del satellite Chandra della NASA, analizzate da un team internazionale di astrofisici da Berkeley, Northwestern University, FSU Jena, PSU, Birmingham, Radboud University Nijmegen, Harvard, Clemson, Purdue, NYU, California State Universitye, Columbia, Oxford, Bath, Southampton, Universities e per l’Italia, dall’Università di Ferrara.
L’esplosione in oggetto è stata osservata il 17 agosto del 2017 e rappresenta per gli scienziati una fonte straordinaria di dati di qualità, grazie alla sua relativa vicinanza a noi di "soli" 130 milioni di anni-luce.
“La kilonova è il risultato della produzione esplosiva di una grande quantità di materiale radioattivo, seguita dal collasso di una neonata stella compatta, probabilmente una stella di neutroni, troppo massiccia per resistere più a lungo alla propria gravità. In seguito a tale evento, è stata osservata la formazione di un buco nero. Questo fenomeno non è stato istantaneo, però: si è verificato dopo un tempo di circa un secondo” spiega Cristiano Guidorzi, Professore del Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra di Unife e co-autore dello studio.
Ora, grazie ai raggi X misurati dal satellite Chandra, a circa 1200 giorni dall'evento catastrofico è stata osservata la firma di una componente nuova formatasi proprio in quel secondo.
Di cosa si tratta? Due le ipotesi, secondo gli autori dello studio:
“La spiegazione più probabile è che si tratti di una sorta di “boom sonico”, risultato della decelerazione, causata dal rarefatto mezzo interstellare, del materiale radioattivo creato negli istanti immediatamente seguenti l’esplosione e precedenti il collasso finale a buco nero. Oppure, potrebbe trattarsi dei primi vagiti dovuti al materiale intrappolato nel disco di accrescimento attorno al buco nero che si sarebbe formato in seguito all’esplosione” spiega Guidorzi.
Solo le future osservazioni, in particolare la combinazione di radio e X, chiariranno quale delle due è la spiegazione corretta.
Il contributo dell’Università di Ferrara a questo risultato ha riguardato soprattutto la valutazione della significatività statistica della presenza di questa nuova componente:
“Si tratta di contare pochi fotoni e valutarne l'impatto sul piano statistico: nel caso di sorgenti così deboli, anche numeri piccoli giocano un peso fondamentale” spiega Guidorzi.
La collaborazione dell’Università di Ferrara su questa sorgente straordinaria risale fin dai tempi della sua scoperta nel 2017:
“Grazie alle risorse di Unife e INFN Ferrara per il calcolo parallelo, si è potuto modellare i dati e dedurre che stavamo osservando il getto relativistico con un angolo fuori asse di circa 20-30 gradi, unitamente all'energia emessa e alla densità del mezzo interstellare. Queste stesse analisi sono poi state sfruttate in un lavoro internazionale guidato da me per stimare in modo nuovo e indipendente la costante di Hubble, parametro cosmologico fondamentale che descrive il tasso di espansione dell'Universo."
Per saperne di più
- https://chandra.si.edu/press/22_releases/press_022822.html
- https://chandra.si.edu/photo/2022/gw170817/
- https://chandra.si.edu/photo/2022/gw170817/more.html
- https://chandra.si.edu/photo/2022/gw170817/animations.html
- Ansa
A cura di CHIARA FAZIO