Delta e lagune | Salvaguardarli lavorando con la natura
Scienza e ricerca
Gli ambienti di transizione sono quelle aree umide costiere, ideali per ospitare la riproduzione o lo svezzamento della prole di molte specie ittiche e per la sosta di uccelli migratori. Lo sono quindi il Delta del Po e gli ambienti lagunari. Sui nuovi approcci alla conservazione, ripristino, e prospettive gestionali di queste preziose interfacce tra ecosistemi d’acqua dolce, ecosistemi marini ed ecosistemi terrestri, si è concentrato il workshop scientifico “Biodiversità, servizi ecosistemici e qualità degli ambienti di transizione”, svoltosi a Unife lo scorso 21 giugno.
Promosso dalla Società scientifica LaguNet (Italian Network for Lagoon Research), dal Dipartimento di Scienze Chimiche e Farmaceutiche di Unife e patrocinato da ISPRA, dalle società scientifiche SIBM e AIOL, dai progetti europei LIFE-AGREE e INTERREG-ADRION, il workshop LaguNet ha riunito attorno a uno stesso tavolo i rappresentanti di istituzioni scientifiche, accademiche e governative.
"Gli ambienti di transizione sono il risultato di un lungo processo naturale. In un'area costiera come quella nord adriatica, caratterizzata da un'escursione di marea inferiore ai 2 metri, i sedimenti trasportati dai fiumi e rimaneggiati dalle correnti marine hanno formato vasti e significativi complessi lagunari: dalla laguna di Venezia, al complesso deltizio del Po, alle lagune più settentrionali di Caorle e di Baseleghe", spiega il Prof. Michele Mistri di Unife. "In queste aree - prosegue Mistri - l'ampia variabilità dei parametri chimico-fisici favorisce la presenza di differenti habitat di interesse caratterizzati da una elevata biodiversità, la cui tutela è riconosciuta come priorità a livello internazionale. Biodiversità spesso significa diversità dell’ecosistema e quindi qualità ambientale a beneficio di tutti gli organismi. Di conseguenza, maggiore è la diversità del sistema, maggiore sarà la sua adattabilità ai cambiamenti e minore la sua vulnerabilità”.
Gli ambienti di transizione forniscono importanti funzioni ecosistemiche, che vanno adeguatamente prese in considerazione.
“Lavorare con la natura, utilizzandone le capacità di autoregolazione è una strategia largamente condivisa, ma che fatica ancora ad essere messa in pratica. Proprio il confronto su questo approccio è stato l'obiettivo del workshop ospitato da Unife” - conclude il Prof. Mistri.