Il Rapporto Draghi, la competitività europea e l’intelligenza artificiale
Draghi ha presentato il suo Rapporto sulla Competitività il 9 settembre scorso. Mario Draghi pone al centro del Rapporto sul futuro dell’Unione europea tre sfide, che considera “esistenziali” per l’Europa, cioè tali che se non vinte possono mettere in discussione la stessa esistenza della UE.
- La prima sfida esistenziale riguarda l’innovazione, sfida che parte dalla necessità ormai inderogabile di recuperare il distacco tecnologico che separa l’Europa dagli Stati Uniti.
- La seconda sfida per l’Europa riguarda la capacità di generare un’azione comune per la trasformazione digitale e la decarbonizzazione del nostro sistema produttivo, trasformando a sua volta questi due cambiamenti strutturali in quell’opportunità di crescita, che finora non si è riusciti a cogliere come Unione, avendo ogni paese inseguito propri obiettivi di breve periodo.
- Infine la terza sfida riguarda il bisogno assoluto di garantire sicurezza all’intero sistema - Europa, restituendo piena indipendenza tecnologica all’Unione, oggi premuta da una parte dalla crescente presenza cinese sul lato delle produzioni di massa degli intermedi necessari alla produzione, e dall’altro dalla monopolizzazione delle grandi imprese americane sulla gestione delle reti e dei sistemi di comunicazione.
Queste tre sfide “esistenziali” per l’Unione si incrociano nello sviluppo e nel responsabile utilizzo dell’intelligenza artificiale da parte dei paesi europei e delle pubbliche amministrazioni europee. Per “Intelligenza artificiale” intendiamo un sistema artificiale, cioè non disponibile in natura, ma costruito dall’uomo, che può simulare la più umana delle caratteristiche, cioè il ragionamento, inteso come capacità di porre in sequenza logica più elementi fra loro non connessi, e di pianificare, cioè di ordinare nel tempo questi elementi, ottimizzandone gli impatti.
La definizione data dalla norma ISO2023 introduce tuttavia anche due capacità aggiuntive, apprendimento e creatività, che invero sono le vere ed essenziali caratteristiche, con la stessa emotività, che si uniscono nella definizione dell’intelligenza umana. La norma ISO/IEC 42001:2023 Information technology - Artificial intelligence Management System (AIMS) definisce infatti “l'intelligenza artificiale” come la capacità di un sistema di mostrare capacità umane quali il ragionamento, l'apprendimento, la pianificazione e la creatività.
Tuttavia è proprio in questo ambito così cruciale per il futuro che la posizione europea sembra in ritardo, innanzitutto perché le Big Tech americane hanno oggi un tale potere di mercato e quindi risorse disponibili all’investimento che nessuna impresa europea può minimamente infastidirli. Si pensi solo all’enorme investimento di Microsoft in OPEN AI per lo sviluppo di ChatGPT, che arriva al punto di riaprire la centrale nucleare di Meltdown per disporre dell’energia necessaria a far funzionare i computer necessari a gestire i big data e gli algoritmi proprio di AI.
Il Rapporto Draghi segnala che dal 2017 il 73% dei modelli di intelligenza artificiale è stato sviluppato negli Stati Uniti e considerando le principali start-up di IA a livello mondiale, il 61% dei finanziamenti globali va ad imprese nate in Usa, il 17% a quelle cinesi e solo il 6% a quelle dell'Ue, ma di queste un terzo è migrata poi negli Stati Uniti per poter incontrare un mercato dei capitali in grado di finanziarne lo sviluppo.
Un ruolo cruciale per lo sviluppo dell’AI in Europa, secondo il Rapporto Draghi, sarà dato l'integrazione verticale delle tecnologie di intelligenza artificiale all’interno dell'industria europea. Si legge a questo proposito: "Per prosperare in una corsa tecnologica globale sempre più accesa, l'Ue deve sfruttare lo sviluppo e l'applicazione di 'verticali di IA', ovvero casi d'uso innovativi per le tecnologie di IA in settori industriali chiave" quali l'automobile, la robotica, l'industria farmaceutica.
In questa prospettiva l’Europa deve per un verso affrontare riforme sostanziali delle sue strutture finanziarie, come anticipato dal Rapporto Letta, ma d’altra parte contare su un utilizzo sempre più sistematico e coordinato di strumenti di intelligenza artificiale da parte delle diverse pubbliche amministrazioni, per poter diffondere un uso generalizzato dei nuovi strumenti e nel contempo per poter consolidare una cultura diffusa ed una pratica quotidiana di tali strumenti, evitando di creare nuove fratture sociali ed ineguaglianze generazionali non sostenibili nel contesto europee.
Solo un utilizzo sistemico, congiunto, coordinato e contestuale di tali tecnologie di intelligenza artificiale da parte delle amministrazioni di tutti i paesi europei può garantire quella dimensione di scala, per permettere alle nostre imprese emergenti la possibilità di sviluppare prodotti competitivi con le imprese americane o cinesi che operano con altre dimensioni di mercato.
La capacità di rispondere ai bisogni emergenti delle popolazioni europee, come ad esempio l’invecchiamento della popolazione e la necessità di assistere anziani e vecchi non autosufficienti, può aprire alle stesse imprese europee nuovi mercati, da estendere poi ad altre aree, in cui si proporranno problematiche simili a quelle già vissute in Europa. Ad esempio, trenta anni di crescita economica hanno generato sia in Cina che negli Usa un ampliamento degli indici di diseguaglianza, che appaiono alla lunga non sostenibili, senza lo sviluppo di nuovi servizi a popolazioni sempre più articolate e complesse.
Un utilizzo coerente ed unitario da parte di tutti i governi europei, e delle loro amministrazioni centrali, periferiche e locali, può consolidare quell’orientamento “etico” all’utilizzo dell’intelligenza artificiale, che rimane quel segno identitario dell’Europa, che ha portato al Codice Etico dell’Unione Europea del 2019, tradottosi poi nell’EU Artificial Intelligence Act del 2021, e che sono state poi riprese dalla Raccomandazione dell’Unesco adottata nel Novembre 2021. Tuttavia il Rapporto Draghi segnala fra le barriere allo sviluppo delle tecnologie emergenti proprio queste norme europee sulla privacy e sull'IA, tanto in riferimento alle norme sul GDPR - il regolamento generale sulla protezione dei dati- e sul collegato Artificial Intelligence Act, Draghi ha dichiarato come la complessità delle norme e il rischio di sovrapposizioni rischino di frenare l'innovazione nel settore. Dal Rapporto emerge che ad oggi l'Ue conta circa 100 leggi sul settore high tech e oltre 270 autorità di regolamentazione attive nelle reti digitali in tutti gli Stati membri, creando quella complessità che frazionano i mercati e vincolano l’innovazione “distruggendo le nostre stesse imprese”.
Anche in questo caso proprio per evitare che la necessaria visione etica si trasformi in una trappola per noi stessi, diviene necessario muovere rapidamente verso un’Europa più unita, che superi sovranismi ora deleteri e rilanci il proprio ruolo a livello globale.
Patrizio Bianchi