Coppia di attori-registi, Enzo Vetrano e Stefano Randisi, insieme dal 1976, raccontano il loro lavoro a due a Franco Scaglia, di fronte alle telecamere di “Questa è la mia vita”. La conversazione di questa settimana è incentrata sulle modalità della loro attività in coppia, sul lavoro fatto su sé stessi per arrivare a conoscersi bene, in modo che nessuno prevalga sull’altro, perché la poetica di base è comune e comune il modo in cui arrivano insieme alle cose. Nel mezzo, il ricordo, colmo di devozione, per i maestri Beppe Randazzo e Michele Perriera, grazie al quale Enzo Vetrano scoprirà la passione per il teatro, a soli tre esami dalla laurea in Giurisprudenza, che non verrà più conseguita. Sul senso di fare teatro in questi tempi di crisi, Stefano Randisi afferma che il teatro è una risposta, perché sveglia le coscienze e può essere la chiave di svolta per passare oltre, Enzo Vetrano che esso rappresenta una possibilità, poiché è l’unico posto dove ancora si riflette.
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Dagli inizi a teatro all’esperienza cinematografica di Profondo rosso, dalla preoccupante crisi del teatro dei giorni nostri all’essenza della pratica teatrale di tutti i tempi. Gabriele Lavia, regista e attore, si racconta partendo dalle prime esperienze teatrali e dal battesimo cinematografico che lo avrebbe reso noto a tutto il mondo interpretando l’assassino di Profondo Rosso; da lì le numerose proposte cinematografiche rifiutate per l’amore del teatro. “Fare l’attore è una cosa impossibile – dice, nonostante rivendichi il suo essere prima regista e poi attore – c’è la voce, c’è il corpo, c’è il movimento e in più c’è l’abisso tra te e quello che fai”. Lavia descrive magistralmente l’essenza della pratica teatrale parlando dell’ossessione per le prove, della necessaria perfettibilità di queste, dello spirito di coappartenenza cristiana da instaurare in una compagnia teatrale, del ruolo logopoietico del mondo teatrale. Il teatro è il luogo dello sguardo, il luogo in cui l’occidente ha deciso di svelare l’essenza insondabile dell’uomo: “il teatro è l’essenza dell’uomo e noi oggi lo facciamo esattamente come allora”.
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“Questa è la mia vita” questa settimana incontra Mario Martone, regista teatrale e cinematografico. Martone descrive a 360° l’esperienza del teatro e il bagaglio esistenziale a essa connesso dagli anni dell’Avanguardia del gruppo Nobili di Rosa, all’esordio con il cinema. Il teatro, come il cinema, ha un ruolo sociologico fondamentale quello di “creare relazioni in un mondo che non le spezza”. Il rapporto con gli attori sembra essere una conseguenza visibile del ruolo di aggregazione sociale del teatro: “Non dico mai ad un attore come deve dire una battuta”. In una compagnia teatrale c’è bisogno di un campo di forze all’interno del quale le dinamiche tecniche e psicologiche tendono a seguire lo stesso percorso. Martone racconta di come i compagni di viaggio siano stati fondamentali per il suo percorso partito in un periodo in cui avevi l’impressione di appartenere a “un grande movimento artistico e culturale”. L’invito alle nuove generazioni è unico “rimboccarsi le maniche e andare avanti”.
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“Questa è la mia vita” questa settimana incontra Pippo Delbono, attore e regista di fama internazionale. La discussione con Delbono è vibrante e tocca temi notevoli e differenti. Delbono è un artista poliedrico che tramuta i codici della tradizione, acquisita durante la sua formazione classica, in spettacoli d’avanguardia. Le sue prime esperienze in Danimarca nel gruppo Farfa rappresentano il tirocinio durante il quale come lui stesso dice: “ha imparato a prendere dagli altri, non a imitarli, ha imparato a rubargli l’anima”. La grande volubilità lo porta a incontrarsi con esperienze e tendenze eterogenee. Una fra tutte l’incontro con Pina Bausch, esperienza propedeutica alla ossessiva attenzione al movimento e alla mistione tra danza e teatro. Attraverso il racconto delle esperienze personali Delbono arriva al presente nel quale nota una piaga difficilmente estinguibile: l’ingombrante fantasma del tecnicismo sterile. “l’umanità è fondamentale. Il teatro senza umanità non esiste”. La rivoluzione è un termine obsoleto e una pratica di protesta ormai impraticabile: “Per fare la rivoluzione bisogna ascoltare. I giovani, oggi, non sanno ascoltare”.
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