Petrarca, Canzoniere

Gli studenti porteranno all'esame 15 testi; se quelli letti e commentati a lezione fossero di meno, ne aggiungeranno altri, a loro scelta, sino al numero totale di 15.

 

Francesco Petrarca, Canzoniere, a cura di G. Contini, Torino, Einaudi, 1964

I
Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono
di quei sospiri ond'io nudriva 'l core
in sul mio primo giovenile errore
quand'era in parte altr'uom da quel ch'i' sono,

del vario stile in ch'io piango et ragiono       5
fra le vane speranze e 'l van dolore,
ove sia chi per prova intenda amore,
spero trovar pietà, nonché perdono.

Ma ben veggio or sì come al popol tutto
favola fui gran tempo, onde sovente       10
di me medesmo meco mi vergogno;

et del mio vaneggiar vergogna è 'l frutto,
e 'l pentersi, e 'l conoscer chiaramente
che quanto piace al mondo è breve sogno.

II
Per fare una leggiadra sua vendetta
et punire in un dí ben mille offese,
celatamente Amor l'arco riprese,
come huom ch'a nocer luogo et tempo aspetta.

Era la mia virtute al cor ristretta       5
per far ivi et ne gli occhi sue difese,
quando 'l colpo mortal là giú discese
ove solea spuntarsi ogni saetta.

Però, turbata nel primiero assalto,
non ebbe tanto né vigor né spazio       10
che potesse al bisogno prender l'arme,

overo al poggio faticoso et alto
ritrarmi accortamente da lo strazio
del quale oggi vorrebbe, et non pò, aitarme.

III
Era il giorno ch'al sol si scoloraro
per la pietà del suo factore i rai,
quando i' fui preso, et non me ne guardai,
ché i be' vostr'occhi, donna, mi legaro.

Tempo non mi parea da far riparo       5
contra colpi d'Amor: però m'andai
secur, senza sospetto; onde i miei guai
nel commune dolor s'incominciaro.

Trovommi Amor del tutto disarmato
et aperta la via per gli occhi al core,       10
che di lagrime son fatti uscio et varco:

però, al mio parer, non li fu honore
ferir me de saetta in quello stato,
a voi armata non mostrar pur l'arco.

IV
Que' ch'infinita providentia et arte
mostrò nel suo mirabil magistero,
che crïò questo et quell'altro hemispero,
et mansüeto piú Giove che Marte,

vegnendo in terra a 'lluminar le carte       5
ch'avean molt'anni già celato il vero,
tolse Giovanni da la rete et Piero,
et nel regno del ciel fece lor parte.

Di sé nascendo a Roma non fe' gratia,
a Giudea sí, tanto sovr'ogni stato       10
humiltate exaltar sempre gli piacque;

ed or di picciol borgo un sol n'à dato,
tal che natura e 'l luogo si ringratia
onde sí bella donna al mondo nacque.

V
Quando io movo i sospiri a chiamar voi,
e 'l nome che nel cor mi scrisse Amore,
LAUdando s'incomincia udir di fore
il suon de' primi dolci accenti suoi.

Vostro stato REal, che 'ncontro poi,       5
raddoppia a l'alta impresa il mio valore;
ma: TAci, grida il fin, ché farle honore
è d'altri homeri soma che da' tuoi.

Cosí LAUdare et REverire insegna
la voce stessa, pur ch'altri vi chiami,       10
o d'ogni reverenza et d'onor degna:

se non che forse Apollo si disdegna
ch'a parlar de' suoi sempre verdi rami
lingua mortal presumptüosa vegna.

VI
Sí travïato è 'l folle mi' desio
a seguitar costei che 'n fuga è volta,
et de' lacci d'Amor leggiera et sciolta
vola dinanzi al lento correr mio,

che quanto richiamando piú l'envio       5
per la secura strada, men m'ascolta:
né mi vale spronarlo, o dargli volta,
ch'Amor per sua natura il fa restio.

Et poi che 'l fren per forza a sé raccoglie,
i' mi rimango in signoria di lui,       10
che mal mio grado a morte mi trasporta:

sol per venir al lauro onde si coglie
acerbo frutto, che le piaghe altrui
gustando afflige piú che non conforta.

VII
La gola e 'l somno et l'otïose piume
ànno del mondo ogni vertú sbandita,
ond'è dal corso suo quasi smarrita
nostra natura vinta dal costume;

et è sí spento ogni benigno lume       5
del ciel, per cui s'informa humana vita,
che per cosa mirabile s'addita
chi vòl far d'Elicona nascer fiume.

Qual vaghezza di lauro, qual di mirto?
Povera et nuda vai philosophia,       10
dice la turba al vil guadagno intesa.

Pochi compagni avrai per l'altra via:
tanto ti prego piú, gentile spirto,
non lassar la magnanima tua impresa.

VIII
A pie' de' colli ove la bella vesta
prese de le terrene membra pria
la donna che colui ch'a te ne 'nvia
spesso dal somno lagrimando desta,

libere in pace passavam per questa       5
vita mortal, ch'ogni animal desia,
senza sospetto di trovar fra via
cosa ch'al nostr'andar fosse molesta.

Ma del misero stato ove noi semo
condotte da la vita altra serena       10
un sol conforto, et de la morte, avemo:

che vendetta è di lui ch'a ciò ne mena,
lo qual in forza altrui presso a l'extremo
riman legato con maggior catena.

IX
Quando 'l pianeta che distingue l'ore
ad albergar col Tauro si ritorna,
cade vertú da l'infiammate corna
che veste il mondo di novel colore;

et non pur quel che s'apre a noi di fore,       5
le rive e i colli, di fioretti adorna,
ma dentro dove già mai non s'aggiorna
gravido fa di sé il terrestro humore,

onde tal fructo et simile si colga:
così costei, ch'è tra le donne un sole,       10
in me movendo de' begli occhi i rai

crïa d'amor penseri, atti et parole;
ma come ch'ella gli governi o volga,
primavera per me pur non è mai.

X
Glorïosa columna in cui s'appoggia
nostra speranza e 'l gran nome latino,
ch'ancor non torse del vero camino
l'ira di Giove per ventosa pioggia,

qui non palazzi, non theatro o loggia,       5
ma 'n lor vece un abete, un faggio, un pino
tra l'erba verde e 'l bel monte vicino,
onde si scende poetando et poggia,

levan di terra al ciel nostr'intellecto;
e 'l rosigniuol che dolcemente all'ombra       10
tutte le notti si lamenta et piagne,

d'amorosi penseri il cor ne 'ngombra:
ma tanto bel sol tronchi, et fai imperfecto,
tu che da noi, signor mio, ti scompagne.

XI
Lassare il velo o per sole o per ombra,
donna, non vi vid'io
poi che in me conosceste il gran desio
ch'ogni altra voglia d'entr'al cor mi sgombra.

Mentr'io portava i be' pensier' celati,       5
ch'ànno la mente desïando morta,
vidivi di pietate ornare il volto;
ma poi ch'Amor di me vi fece accorta,
fuor i biondi capelli allor velati,
et l'amoroso sguardo in sé raccolto.       10
Quel ch'i' piú desïava in voi m'è tolto:
sí mi governa il velo
che per mia morte, et al caldo et al gielo,
de' be' vostr'occhi il dolce lume adombra.

XII
Se la mia vita da l'aspro tormento
si può tanto schermire, et dagli affanni,
ch'i' veggia per vertù de gli ultimi anni,
donna, de' be' vostr'occhi il lume spento,

e i cape' d'oro fin farsi d'argento,       5
et lassar le ghirlande e i verdi panni,
e 'l viso scolorir che ne' miei danni
a·llamentar mi fa pauroso et lento:

pur mi darà tanta baldanza Amore
ch'i' vi discovrirò de' mei martiri       10
qua' sono stati gli anni, e i giorni et l'ore;

et se 'l tempo è contrario ai be' desiri,
non fia ch'almen non giunga al mio dolore
alcun soccorso di tardi sospiri.

XIII
Quando fra l'altre donne ad ora ad ora
Amor vien nel bel viso di costei,
quanto ciascuna è men bella di lei
tanto cresce 'l desio che m'innamora.

I' benedico il loco e 'l tempo et l'ora       5
che sí alto miraron gli occhi mei,
et dico: Anima, assai ringratiar dêi
che fosti a tanto honor degnata allora.

Da lei ti vèn l'amoroso pensero,
che mentre 'l segui al sommo ben t'invia,       10
pocho prezando quel ch'ogni huom desia;

da lei vien l'animosa leggiadria
ch'al ciel ti scorge per destro sentero,
sí ch'i' vo già de la speranza altero.

XIV
Occhi miei lassi, mentre ch'io vi giro
nel bel viso di quella che v'à morti,
pregovi siate accorti,
ché già vi sfida Amore, ond'io sospiro.

Morte pò chiuder sola a' miei penseri       5
l'amoroso camin che gli conduce
al dolce porto de la lor salute;
ma puossi a voi celar la vostra luce
per meno obgetto, perché meno interi
siete formati, et di minor virtute.       10
Però, dolenti, anzi che sian venute
l'ore del pianto, che son già vicine,
prendete or a la fine
breve conforto a sí lungo martiro.

XV
Io mi rivolgo indietro a ciascun passo
col corpo stancho ch'a gran pena porto,
et prendo allor del vostr'aere conforto
che 'l fa gir oltra dicendo: Oimè lasso!

Poi ripensando al dolce ben ch'io lasso,       5
al camin lungo et al mio viver corto,
fermo le piante sbigottito et smorto,
et gli occhi in terra lagrimando abasso.

Talor m'assale in mezzo a' tristi pianti
un dubbio: come posson queste membra       10
da lo spirito lor viver lontane?

Ma rispondemi Amor: Non ti rimembra
che questo è privilegio degli amanti,
sciolti da tutte qualitati humane?

XVI
Movesi il vecchierel canuto et biancho
del dolce loco ov'à sua età fornita
et da la famigliuola sbigottita
che vede il caro padre venir manco;

indi trahendo poi l'antiquo fianco       5
per l'extreme giornate di sua vita,
quanto piú pò, col buon voler s'aita,
rotto dagli anni, et dal cammino stanco;

et viene a Roma, seguendo 'l desio,
per mirar la sembianza di colui       10
ch'ancor lassú nel ciel vedere spera:

cosí, lasso, talor vo cerchand'io,
donna, quanto è possibile, in altrui
la disïata vostra forma vera.

XVII
Piovonmi amare lagrime dal viso
con un vento angoscioso di sospiri,
quando in voi adiven che gli occhi giri
per cui sola dal mondo i' son diviso.

Vero è che 'l dolce mansüeto riso       5
pur acqueta gli ardenti miei desiri,
et mi sottragge al foco de' martiri,
mentr'io son a mirarvi intento et fiso.

Ma gli spiriti miei s'aghiaccian poi
ch'i' veggio al departir gli atti soavi       10
torcer da me le mie fatali stelle.

Largata alfin co l'amorose chiavi
l'anima esce del cor per seguir voi;
et con molto pensiero indi si svelle.

XVIII
Quand'io son tutto vòlto in quella parte
ove 'l bel viso di madonna luce,
et m'è rimasa nel pensier la luce
che m'arde et strugge dentro a parte a parte,

i' che temo del cor che mi si parte,       5
et veggio presso il fin de la mia luce,
vommene in guisa d'orbo, senza luce,
che non sa ove si vada et pur si parte.

Cosí davanti ai colpi de la morte
fuggo: ma non sí ratto che 'l desio       10
meco non venga come venir sòle.

Tacito vo, ché le parole morte
farian pianger la gente; et i' desio
che le lagrime mie si spargan sole.

XIX
Son animali al mondo de sí altera
vista che 'ncontra 'l sol pur si difende;
altri, però che 'l gran lume gli offende,
non escon fuor se non verso la sera;

et altri, col desio folle che spera       5
gioir forse nel foco, perché splende,
provan l'altra vertú, quella che 'ncende:
lasso, e 'l mio loco è 'n questa ultima schera.

Ch'i' non son forte ad aspectar la luce
di questa donna, et non so fare schermi       10
di luoghi tenebrosi, o d' ore tarde:

però con gli occhi lagrimosi e 'nfermi
mio destino a vederla mi conduce;
et so ben ch'i' vo dietro a quel che m'arde.

XX
Vergognando talor ch'ancor si taccia,
donna, per me vostra bellezza in rima,
ricorro al tempo ch'i' vi vidi prima,
tal che null'altra fia mai che mi piaccia.

Ma trovo peso non da le mie braccia,       5
né ovra da polir colla mia lima:
però l'ingegno che sua forza extima
ne l'operatïon tutto s'agghiaccia.

Piú volte già per dir le labbra apersi,
poi rimase la voce in mezzo 'l pecto:       10
ma qual sòn poria mai salir tant'alto?

Piú volte incominciai di scriver versi:
ma la penna et la mano et l'intellecto
rimaser vinti nel primier assalto.

XXI
Mille fïate, o dolce mia guerrera,
per aver co' begli occhi vostri pace
v'aggio proferto il cor; mâ voi non piace
mirar sí basso colla mente altera.

Et se di lui fors'altra donna spera,       5
vive in speranza debile et fallace:
mio, perché sdegno ciò ch'a voi dispiace,
esser non può già mai cosí com'era.

Or s'io lo scaccio, et e' non trova in voi
ne l'exilio infelice alcun soccorso,       10
né sa star sol, né gire ov'altri il chiama,

poria smarrire il suo natural corso:
che grave colpa fia d'ambeduo noi,
et tanto piú de voi, quanto piú v'ama.

XXII
A qualunque animale alberga in terra,
se non se alquanti ch'ànno in odio il sole,
tempo da travagliare è quanto è 'l giorno;
ma poi che 'l ciel accende le sue stelle,
qual torna a casa et qual s'anida in selva       5
per aver posa almeno infin a l'alba.

Et io, da che comincia la bella alba
a scuoter l'ombra intorno de la terra
svegliando gli animali in ogni selva,
non ò mai triegua di sospir' col sole;       10
pur quand'io veggio fiammeggiar le stelle
vo lagrimando, et disïando il giorno.

Quando la sera scaccia il chiaro giorno,
et le tenebre nostre altrui fanno alba,
miro pensoso le crudeli stelle,       15
che m'ànno facto di sensibil terra;
et maledico il dí ch'i' vidi 'l sole,
e che mi fa in vista un huom nudrito in selva.

Non credo che pascesse mai per selva
sí aspra fera, o di nocte o di giorno,       20
come costei ch'i 'piango a l'ombra e al sole;
et non mi stancha primo sonno od alba:
ché, bench'i' sia mortal corpo di terra,
lo mi fermo desir vien da le stelle.

Prima ch'i' torni a voi, lucenti stelle,       25
o tomi giú ne l'amorosa selva,
lassando il corpo che fia trita terra,
vedess'io in lei pietà, che 'n un sol giorno
può ristorar molt'anni, e 'nanzi l'alba
puommi arichir dal tramontar del sole.       30

Con lei foss'io da che si parte il sole,
et non ci vedess'altri che le stelle,
sol una nocte, et mai non fosse l'alba;
et non se transformasse in verde selva
per uscirmi di braccia, come il giorno       35
ch'Apollo la seguia qua giú per terra.

Ma io sarò sotterra in secca selva
e 'l giorno andrà pien di minute stelle
prima ch'a sí dolce alba arrivi il sole.

XXIII
Nel dolce tempo de la prima etade,
che nascer vide et anchor quasi in herba
la fera voglia che per mio mal crebbe,
perché cantando il duol si disacerba,
canterò com'io vissi in libertade,       5
mentre Amor nel mio albergo a sdegno s'ebbe.
Poi seguirò sí come a lui ne 'ncrebbe
troppo altamente, e che di ciò m'avvenne,
di ch'io son facto a molta gente exempio:
benché 'l mio duro scempio       10
sia scripto altrove, sí che mille penne
ne son già stanche, et quasi in ogni valle
rimbombi il suon de' miei gravi sospiri,
ch'aquistan fede a la penosa vita.
E se qui la memoria non m'aita       15
come suol fare, iscúsilla i martiri,
et un penser che solo angoscia dàlle,
tal ch'ad ogni altro fa voltar le spalle,
e mi face oblïar me stesso a forza:
ché tèn di me quel d'entro, et io la scorza.       20

I' dico che dal dí che 'l primo assalto
mi diede Amor, molt'anni eran passati,
sí ch'io cangiava il giovenil aspetto;
e d'intorno al mio cor pensier' gelati
facto avean quasi adamantino smalto       25
ch'allentar non lassava il duro affetto.
Lagrima anchor non mi bagnava il petto
né rompea il sonno, et quel che in me non era,
mi pareva un miracolo in altrui.
Lasso, che son! che fui!       30
La vita el fin, e 'l dí loda la sera.
Ché sentendo il crudel di ch'io ragiono
infin allor percossa di suo strale
non essermi passato oltra la gonna,
prese in sua scorta una possente donna,       35
ver' cui poco già mai mi valse o vale
ingegno, o forza, o dimandar perdono;
e i duo mi trasformaro in quel ch'i' sono,
facendomi d'uom vivo un lauro verde,
che per fredda stagion foglia non perde.       40

Qual mi fec'io quando primer m'accorsi
de la trasfigurata mia persona,
e i capei vidi far di quella fronde
di che sperato avea già lor corona,
e i piedi in ch'io mi stetti, et mossi, et corsi,       45
com'ogni membro a l'anima risponde,
diventar due radici sovra l'onde
non di Peneo, ma d'un piú altero fiume,
e n' duo rami mutarsi ambe le braccia!
Né meno anchor m'agghiaccia       50
l'esser coverto poi di bianche piume
allor che folminato et morto giacque
il mio sperar che tropp'alto montava:
ché perch'io non sapea dove né quando
me 'l ritrovasse, solo lagrimando       55
là 've tolto mi fu, dí e nocte andava,
ricercando dallato, et dentro a l'acque;
et già mai poi la mia lingua non tacque
mentre poteo del suo cader maligno:
ond'io presi col suon color d'un cigno.       60

Cosí lungo l'amate rive andai,
che volendo parlar, cantava sempre
mercé chiamando con estrania voce;
né mai in sí dolci o in sí soavi tempre
risonar seppi gli amorosi guai,       65
che 'l cor s'umilïasse aspro et feroce.
Qual fu a sentir? ché 'l ricordar mi coce:
ma molto piú di quel, che per inanzi
de la dolce et acerba mia nemica
è bisogno ch'io dica,       70
benché sia tal ch'ogni parlare avanzi.
Questa che col mirar gli animi fura,
m'aperse il petto, e 'l cor prese con mano,
dicendo a me: Di ciò non far parola.
Poi la rividi in altro habito sola,       75
tal ch'i' non la conobbi, oh senso humano,
anzi le dissi 'l ver pien di paura;
ed ella ne l'usata sua figura
tosto tornando, fecemi, oimè lasso,
d'un quasi vivo et sbigottito sasso.       80

Ella parlava sí turbata in vista,
che tremar mi fea dentro a quella petra,
udendo: I' non son forse chi tu credi.
E dicea meco: Se costei mi spetra,
nulla vita mi fia noiosa o trista;       85
a farmi lagrimar, signor mio, riedi.
Come non so: pur io mossi indi i piedi,
non altrui incolpando che me stesso,
mezzo tutto quel dí tra vivo et morto.
Ma perché 'l tempo è corto,       90
la penna al buon voler non pò gir presso:
onde piú cose ne la mente scritte
vo trapassando, et sol d'alcune parlo
che meraviglia fanno a chi l'ascolta.
Morte mi s'era intorno al cor avolta,       95
né tacendo potea di sua man trarlo,
o dar soccorso a le vertuti afflitte;
le vive voci m'erano interditte;
ond'io gridai con carta et con incostro:
Non son mio, no. S'io moro, il danno è vostro.       100

Ben mi credea dinanzi agli occhi suoi
d'indegno far cosí di mercé degno,
et questa spene m'avea fatto ardito:
ma talora humiltà spegne disdegno,
talor l'enfiamma; et ciò sepp'io da poi,       105
lunga stagion di tenebre vestito:
ch'a quei preghi il mio lume era sparito.
Ed io non ritrovando intorno intorno
ombra di lei, né pur de' suoi piedi orma,
come huom che tra via dorma,       110
gittaimi stancho sovra l'erba un giorno.
Ivi accusando il fugitivo raggio,
a le lagrime triste allargai 'l freno,
et lasciaile cader come a lor parve;
né già mai neve sotto al sol disparve       115
com'io sentí' me tutto venir meno,
et farmi una fontana a pie' d'un faggio.
Gran tempo humido tenni quel vïaggio.
Chi udí mai d'uom vero nascer fonte?
E parlo cose manifeste et conte.       120

L'alma ch'è sol da Dio facta gentile,
ché già d'altrui non pò venir tal gratia,
simile al suo factor stato ritene:
però di perdonar mai non è sacia
a chi col core et col sembiante humile       125
dopo quantunque offese a mercé vène.
Et se contra suo stile ella sostene
d'esser molto pregata, in Lui si specchia,
et fal perché 'l peccar piú si pavente:
ché non ben si ripente       130
de l'un mal chi de l'altro s'apparecchia.
Poi che madonna da pietà commossa
degnò mirarme, et ricognovve et vide
gir di pari la pena col peccato,
benigna mi redusse al primo stato.       135
Ma nulla à 'l mondo in ch'uom saggio si fide:
ch'ancor poi ripregando, i nervi et l'ossa
mi volse in dura selce; et così scossa
voce rimasi de l'antiche some,
chiamando Morte, et lei sola per nome.       140

Spirto doglioso errante (mi rimembra)
per spelunche deserte et pellegrine,
piansi molt'anni il mio sfrenato ardire:
et anchor poi trovai di quel mal fine,
et ritornai ne le terrene membra,       145
credo per piú dolore ivi sentire.
I' seguí' tanto avanti il mio desire
ch'un dí cacciando sí com'io solea
mi mossi; e quella fera bella et cruda
in una fonte ignuda       150
si stava, quando 'l sol piú forte ardea.
Io, perché d'altra vista non m'appago,
stetti a mirarla: ond'ella ebbe vergogna;
et per farne vendetta, o per celarse,
l'acqua nel viso co le man' mi sparse.       155
Vero dirò (forse e' parrà menzogna)
ch'i' sentí' trarmi de la propria imago,
et in un cervo solitario et vago
di selva in selva ratto mi trasformo:
et anchor de' miei can' fuggo lo stormo.       160

Canzon, i' non fu' mai quel nuvol d'oro
che poi discese in pretïosa pioggia,
sí che 'l foco di Giove in parte spense;
ma fui ben fiamma ch'un bel guardo accense,
et fui l'uccel che piú per l'aere poggia,       165
alzando lei che ne' miei detti honoro:
né per nova figura il primo alloro
seppi lassar, ché pur la sua dolce ombra
ogni men bel piacer del cor mi sgombra.