Vita Nova
Dante Alighieri, Vita N(u)ova, a cura di Guglielmo Gorni, Torino, Einaudi, 1996
1
In quella parte del libro della mia memoria dinanzi alla quale poco si potrebbe leggere, si trova una rubrica la quale dice Incipit Vita Nova. Sotto la quale rubrica io trovo scripte le parole le quali è mio intendimento d'asemplare in questo libello, e se non tutte, almeno la loro sententia. Nove fiate già apresso lo mio nascimento era tornato lo cielo della luce quasi a uno medesimo puncto quanto alla sua propria giratione, quando alli miei occhi apparve prima la gloriosa donna della mia mente, la quale fu chiamata da molti Beatrice, li quali non sapeano che si chiamare. Ella era già in questa vita stata tanto, che nel suo tempo lo Cielo Stellato era mosso verso la parte d'oriente delle dodici parti l'una d'un grado, sì che quasi dal principio del suo anno nono apparve a me, e io la vidi quasi dalla fine del mio nono. Apparve vestita di nobilissimo colore umile e onesto sanguigno, cinta e ornata alla guisa che alla sua giovanissima etade si convenia. In quel puncto dico veracemente che lo spirito della vita, lo quale dimora nella secretissima camera del cuore, cominciò a tremare sì fortemente, che apparia nelli menomi polsi orribilmente; e tremando disse queste parole: «Ecce Deus fortior me, qui veniens dominabitur michi!». In quel puncto lo spirito animale, lo quale dimora nell'alta camera nella quale tutti li spiriti sensitivi portano le loro perceptioni, si cominciò a maravigliare molto, e parlando spetialmente alli spiriti del viso, disse queste parole: «Apparuit iam beatitudo vestra!». In quel puncto lo spirito naturale, lo quale dimora in quella parte ove si ministra lo nutrimento nostro, cominciò a piangere, e piangendo disse queste parole: «Heu, miser, quia frequenter impeditus ero deinceps!». D'allora innanzi, dico che Amore segnoreggiò la mia anima, la quale fu sì tosto a·llui disponsata, e cominciò a prendere sopra me tanta sicurtade e tanta signoria per la virtù che li dava la mia ymaginatione, che me convenia fare tutti li suoi piaceri compiutamente. Elli mi comandava molte volte che io cercassi per vedere questa angiola giovanissima; onde io nella mia pueritia molte volte l'andai cercando, e vedeala di sì nobili e laudabili portamenti, che certo di lei si potea dire quella parola del poeta Homero: «Ella non parea figliuola d'uomo mortale, ma di Dio». E avegna che la sua ymagine, la quale continuatamente meco stava, fosse baldanza d'Amore a signoreggiare me, tuttavia era di sì nobilissima virtù, che nulla volta sofferse che Amore mi reggesse sanza lo fedele consiglio della Ragione in quelle cose là dove cotale consiglio fosse utile a udire. E però che soprastare alle passioni e acti di tanta gioventudine pare alcuno parlare fabuloso, mi partirò da esse, e trapassando molte cose, le quali si potrebbero trarre dello exemplo onde nascono queste, verrò a quelle parole le quali sono scripte nella mia memoria sotto maggiori paragrafi. Poi che fuoro passati tanti dì che apuncto erano compiuti li nove anni apresso l'apparimento soprascripto di questa gentilissima, nell'ultimo di questi dì avenne che questa mirabile donna apparve a me vestita di colore bianchissimo, in mezzo di due gentili donne, le quali erano di più lunga etade; e passando per una via, volse gli occhi verso quella parte ov'io era molto pauroso, e per la sua ineffabile cortesia, la quale è oggi meritata nel grande secolo, mi salutòe virtuosamente tanto, che mi parve allora vedere tutti li termini della beatitudine. L'ora che lo suo dolcissimo salutare mi giunse, era fermamente nona di quel giorno. E però che quella fu la prima volta che le sue parole si mossero per venire alli miei orecchi, presi tanta dolcezza, che come inebriato mi partio dalle genti, e ricorso al solingo luogo d'una mia camera, puosimi a pensare di questa cortesissima. E pensando di lei, mi sopragiunse uno soave sonno, nel quale m'apparve una maravigliosa visione. Che mi parea vedere nella mia camera una nebula di colore di fuoco, dentro alla quale io discernea una figura d'uno signore, di pauroso aspecto a chi la guardasse; e pareami con tanta letitia quanto a·ssé, che mirabile cosa era; e nelle sue parole dicea molte cose, le quali io non intendea se non poche, tra le quali io intendea queste: «Ego Dominus tuus». Nelle sue braccia mi parea vedere una persona dormire nuda, salvo che involta mi parea in uno drappo sanguigno leggieramente; la quale io riguardando molto intentivamente, conobbi ch'era la donna della salute, la quale m'avea lo giorno dinanzi degnato di salutare. E nell'una delle mani mi parea che questi tenesse una cosa la quale ardesse tutta; e pareami che mi dicesse queste parole: «Vide cor tuum!». E quando elli era stato alquanto, pareami che disvegliasse questa che dormia; e tanto si sforzava per suo ingegno, che le facea mangiare questa cosa che in mano li ardea, la quale ella mangiava dubitosamente. Apresso ciò poco dimorava che la sua letitia si convertia in amarissimo pianto; e così piangendo si ricogliea questa donna nelle sue braccia, e con essa mi parea che si ne gisse verso lo cielo. Onde io sostenea sì grande angoscia, che lo mio deboletto sonno non poteo sostenere, anzi si ruppe e fui disvegliato. E immantanente cominciai a pensare, e trovai che l'ora nella quale m'era questa visione apparita era stata la quarta della nocte, sì che appare manifestamente ch'ella fue la prima ora delle nove ultime ore della nocte. E pensando io a·cciò che m'era apparuto, propuosi di farlo sentire a molti li quali erano famosi trovatori in quel tempo: e con ciò fosse cosa che io avesse già veduto per me medesimo l'arte del dire parole per rima, propuosi di fare uno sonetto, nel quale io salutasse tutti li fedeli d'Amore; e pregandoli che giudicassero la mia visione, scrissi a·lloro ciò che io avea nel mio sonno veduto. E cominciai allora questo sonetto, lo quale comincia A ciascun'alma presa.
A ciascun'alma presa e gentil core
nel cui cospecto ven lo dir presente,
in ciò che mi riscriva 'n suo parvente,
salute in lor segnor, cioè Amore.
Già eran quasi che aterzate l'ore
del tempo che omne stella n'è lucente,
quando m'apparve Amor subitamente,
cui essenza membrar mi dà orrore.
Allegro mi sembrava Amor tenendo
meo core in mano, e nelle braccia avea
madonna involta in un drappo dormendo.
Poi la svegliava, e d'esto core ardendo
lei paventosa umilmente pascea.
Apresso gir lo ne vedea piangendo.
Questo sonetto si divide in due parti, che nella prima parte saluto e domando risponsione, nella seconda significo a che si dêe rispondere. La seconda parte comincia quivi Già erano.
2
A questo sonetto fu risposto da molti, e di diverse sententie: tra li quali fu risponditore quelli cui io chiamo primo delli miei amici, e disse allora uno sonetto, lo quale comincia Vedesti, al mio parere, omne valore. E questo fu quasi lo principio dell'amistà tra lui e me, quando elli seppe che io era quelli che li avea ciò mandato. Lo verace iuditio del detto sogno non fu veduto allora per alcuno, ma ora è manifestissimo alli più semplici. Da questa visione innanzi cominciò lo mio spirito naturale ad essere impedito nella sua operatione, però che l'anima era tutta data nel pensare di questa gentilissima. Onde io divenni in picciolo tempo poi di sì frale e debole conditione, che a molti amici pesava della mia vista; e molti pieni d'invidia già si procacciavano di sapere di me quello che io volea del tutto celare ad altri. E io, accorgendomi del malvagio domandare che mi faceano, per la volontà d'Amore, lo quale mi comandava secondo lo consiglio della Ragione, rispondea loro che Amore era quelli che m'avea così governato. Dicea d'Amore, però che io portava nel viso tante delle sue insegne, che questo non si potea ricoprire. E quando mi domandavano: «Per cui t'à così distructo questo Amore?», e io sorridendo li guardava, e nulla dicea loro. Uno giorno avenne che questa gentilissima sedea in parte ove s'udivano parole della Regina della gloria, e io era in luogo dal quale vedea la mia beatitudine; e nel mezzo di lei e di me per la recta linea sedea una gentil donna di molto piacevole aspecto, la quale mi mirava spesse volte, maravigliandosi del mio sguardare che parea che sopra lei terminasse. Onde molti s'accorsero del suo mirare, e in tanto vi fue posto mente, che partendomi da questo luogo mi sentio dire apresso me: «Vedi come cotale donna distrugge la persona di costui», e nominandola, intesi che dicea di colei che mezzo era stata nella linea recta che movea dalla gentilissima Beatrice e terminava negli occhi miei. Allora mi confortai molto, assicurandomi che lo mio secreto non era comunicato lo giorno altrui per mia vista. E immantanente pensai di fare di questa gentil donna schermo della veritade, e tanto ne mostrai in poco di tempo, che lo mio secreto fu creduto sapere dalle più persone che di me ragionavano. Con questa donna mi celai alquanti anni e mesi. E per più fare credente altrui, feci per lei certe cosette per rima, le quali non è mio intendimento di scrivere qui, se non in quanto facesse a tractare di quella gentilissima Beatrice; e però le lascerò tutte, salvo che alcuna cosa ne scriverò che pare che sia loda di lei. Dico che in questo tempo che questa donna era schermo di tanto amore quanto dalla mia parte, mi venne una volontà di volere ricordare lo nome di quella gentilissima e acompagnarlo di molti nomi di donne, e spetialmente del nome di questa gentil donna. E presi li nomi di .lx. le più belle donne della cittade ove la mia donna fu posta dall'Altissimo Sire, e compuosi una pìstola sotto forma di serventese, la quale io non scriverò; e non n'avrei facto mentione, se non per dire quello che, componendola, maravigliosamente adivenne, cioè che in alcuno altro numero non sofferse lo nome della mia donna stare se non in su lo nove, tra li nomi di queste donne. La donna colla quale io avea tanto tempo celata la mia volontade convenne che si partisse della sopradecta cittade e andasse in paese molto lontano; per che io, quasi sbigottito della bella difesa che m'era venuta meno, assai me ne disconfortai più che io medesimo non avrei creduto dinanzi. E pensando che se della sua partita io non parlassi alquanto dolorosamente, le persone sarebbero accorte più tosto del mio nascondere, propuosi di farne alcuna lamentanza in uno sonetto, lo quale io scriverò, acciò che la mia donna fue immediata cagione di certe parole che nel sonetto sono, sì come appare a chi lo 'ntende. E allora dissi questo sonetto che comincia O voi che per.
O voi che per la via d'Amor passate,
attendete e guardate
s'elli è dolore alcun, quanto 'l mio, grave;
e prego sol che audir mi sofferiate,
e poi ymaginate
s'io son d'ogni tormento ostale e chiave.
Amor, non già per mia poca bontate,
ma per sua nobiltate,
mi pose in vita sì dolce e soave,
ch'io mi sentia dir dietro spesse fiate:
«Deh, per qual dignitate
così leggiadro questi lo cor àve?»
Or ò perduta tutta mia baldanza,
che si movea d'amoroso tesoro,
ond'io pover dimoro,
in guisa che di dir mi ven dottanza.
Sì che volendo far come coloro
che per vergogna celan lor mancanza,
di fuor mostro allegranza,
e dentro dallo core struggo e ploro.
Questo sonetto à due parti principali, che nella prima intendo chiamare li fedeli d'Amore per quelle parole di Yeremia profeta, «O vos omnes qui transitis per viam, attendite et videte si est dolor sicut dolor meus», e pregare che mi sofferino d'udire; nella seconda narro là ove Amore m'avea posto, con altro intendimento che le streme parti del sonetto non mostrano, e dico che io ò ciò perduto. La seconda parte comincia quivi Amor, non già.
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Poi che dissi questi tre sonetti nelli quali parlai a questa donna, però che fuoro narratori di tutto quasi lo mio stato credendomi tacere e non dire più, però che mi parea di me assai avere manifestato, avegna che sempre poi tacesse di dire a·llei, a me convenne ripigliare materia nuova e più nobile che la passata. E però che la cagione della nuova materia è dilectevole a udire, la dicerò, quanto potrò più brievemente. Con ciò sia cosa che per la vista mia molte persone avessero compreso lo secreto del mio core, certe donne, le quali adunate s'erano dilectandosi l'una nella compagnia dell'altra, sapeano bene lo mio cuore, però che ciascuna di loro era stata a molte mie sconfitte. E io, passando presso di loro sì come dalla Fortuna menato, fui chiamato da una di queste gentili donne; e quella che m'avea chiamato era donna di molto leggiadro parlare. Sì che quando io fui giunto dinanzi a·lloro, e vidi bene che la mia gentilissima donna non era con esse, rassicurandomi le salutai e domandai che piacesse loro. Le donne erano molte, tra le quali n'avea certe che si rideano tra·lloro. Altre v'erano che mi guardavano, aspectando che io dovessi dire. Altre v'erano che parlavano tra·lloro, delle quali una, volgendo li suoi occhi verso me e chiamandomi per nome, disse queste parole: «A che fine ami tu questa tua donna, poi che tu non puoi sostenere la sua presenza? Dilloci, ché certo lo fine di cotale amore conviene che sia novissimo». E poi che m'ebbe dette queste parole, non solamente ella, ma tutte l'altre cominciarono ad attendere in vista la mia risponsione. Allora dissi queste parole loro: «Madonne, lo fine del mio amore fu già lo saluto di questa donna, forse di cui voi intendete, e in quello dimorava la beatitudine che era fine di tutti li miei desideri. Ma poi che le piacque di negarlo a me, lo mio signore Amore, la sua mercede, à posto tutta la mia beatitudine in quello che non mi puote venire meno». Allora queste donne cominciaro a parlare tra·lloro. E sì come talora vedemo cadere l'acqua mischiata di bella neve, così mi parea udire le loro parole uscire mischiate di sospiri. E poi che alquanto ebbero parlato tra·lloro, mi disse anche questa donna, che m'avea prima parlato, queste parole: «Noi ti preghiamo che tu ne dichi ove sta questa tua beatitudine». E io rispondendo lei dissi cotanto: «In quelle parole che lodano la donna mia». Allora mi rispuose questa che mi parlava: «Se tu ne dicessi vero, quelle parole che tu n'ài dette in notificando la tua conditione avresti tu operate con altro intendimento». Onde io, pensando a queste parole, quasi vergognoso mi partio da·lloro e venia dicendo fra me medesimo: «Poi che è tanta beatitudine in quelle parole che lodano la mia donna, perché altro parlare è stato lo mio?». E però propuosi di prendere per matera del mio parlare sempre mai quello che fosse loda di questa gentilissima; e pensando molto a·cciò, pareami avere impresa troppo alta matera quanto a me, sì che non ardia di cominciare. E così dimorai alquanti dì, con disiderio di dire e con paura di cominciare. Avenne poi che passando per uno camino lungo lo quale sen gia uno rivo chiaro molto, a me giunse tanta volontà di dire, che io cominciai a pensare lo modo che io tenessi; e pensai che parlare di lei non si convenia che io facesse, se io non parlassi a donne in seconda persona, e non a ogni donna, ma solamente a coloro che sono gentili e che non sono pure femine. Allora dico che la mia lingua parlò quasi come per sé stessa mossa e disse: «Donne ch'avete intellecto d'amore». Queste parole io ripuosi nella mente con grande letitia, pensando di prenderle per mio cominciamento. Onde poi, ritornato alla sopradecta cittade, pensando alquanti die cominciai una canzone con questo cominciamento, ordinata nel modo che si vedrà di sotto nella sua divisione. La canzone comincia Donne ch'avete.
Donne ch'avete intellecto d'amore,
i' vo' con voi della mia donna dire,
non perch'io creda sua laude finire,
ma ragionar per isfogar la mente.
Io dico che pensando 'l suo valore
Amor sì dolce mi si fa sentire,
che s'io allora non perdessi ardire
farei parlando innamorar la gente.
E io non vo' parlar sì altamente,
ch'io divenissi per temenza vile;
ma tracterò del suo stato gentile
a rispecto di lei leggieramente,
donne e donzelle amorose, con voi,
ché non è cosa da parlarne altrui.
Angelo clama in Divino Intellecto
e dice: «Sire, nel mondo si vede
maraviglia nell'acto che procede
d'un'anima che 'nfin qua sù risplende».
Lo cielo, che non àve altro difecto
che d'aver lei, al suo Segnor la chiede,
e ciascun sancto ne grida merzede.
Sola Pietà nostra parte difende,
che parla Dio, che di madonna intende:
«Dilecti miei, or sofferite in pace
che vostra spene sia quanto Mi piace
là ov'è alcun che perder lei s'attende,
e che dirà nello 'Nferno: O mal nati,
io vidi la speranza de' beati».
Madonna è disïata in sommo cielo:
or vo' di sua virtù farvi savere.
Dico, qual vuol gentil donna parere
vada con lei, che quando va per via
gitta nei cor' villan' d'amore un gelo,
per che onne lor pensero aghiaccia e pere;
e qual soffrisse di starl' a vedere
diverria nobil cosa o si morria.
E quando trova alcun che degno sia
di veder lei, quei prova sua vertute,
ché li avèn ciò, che li dona salute,
e sì l'umilia, ch'ogni offesa oblia.
Ancor l'à Dio per maggior gratia dato
che non pò mal finir chi l'à parlato.
Dice di lei Amor: «Cosa mortale
come esser può sì adorna e sì pura?».
Poi la riguarda, e fra sé stesso giura
che Dio ne 'ntenda di far cosa nova.
Color di perle à quasi, in forma quale
convene a donna aver, non for misura:
ella è quanto di ben pò far Natura;
per exemplo di lei bieltà si prova.
Degli occhi suoi, come ch'ella li mova,
escono spirti d'amore inflammati,
che fèron gli occhi a qual che allor la guati,
e passan sì che 'l cor ciascun ritrova.
Voi le vedete Amor pinto nel viso,
là ove non pote alcun mirarla fiso.
Canzone, io so che tu girai parlando
a donne assai, quand'io t'avrò avanzata.
Or t'amonisco, poi ch'io t'ò allevata
per figliuola d'Amor giovane e piana,
che là ove giugni tu dichi pregando:
«Insegnatemi gir, ch'io son mandata
a quella di cui laude io so' adornata».
E se non vòli andar sì come vana,
non restare ove sia gente villana:
ingegnati, se puoi, d'esser palese
solo con donne o con omo cortese,
che ti merranno là per via tostana.
Tu troverai Amor con esso lei;
raccomandami a·llui come tu dêi.
Questa canzone, acciò che sia meglio intesa, la dividerò più artificiosamente che l'altre cose di sopra. E però prima ne fo tre parti. La prima parte è proemio delle sequenti parole; la seconda è lo intento tractato; la terza è quasi una servitiale delle precedenti parole. La seconda comincia quivi Angelo clama; la terza quivi Canzone, io so che. La prima parte si divide in quatro. Nella prima dico a cui dicere voglio della mia donna, e perché io voglio dire; nella seconda dico quale mi pare avere a me stesso quando io penso lo suo valore, e come io direi se io non perdessi l'ardimento; nella terza dico come credo dire di lei, acciò che io non sia impedito da viltà; nella quarta, ridicendo anche a cui ne intenda dire, dico la cagione per che dico a·lloro. La seconda comincia quivi Io dico; la terza quivi E io non vo' parlar; la quarta donne e donzelle. Poscia quando dico Angelo clama, comincio a tractare di questa donna. E dividesi questa parte in due. Nella prima dico che di lei si comprende in cielo; nella seconda dico che di lei si comprende in terra, quivi Madonna è disiata. Questa seconda parte si divide in due: che nella prima dico di lei quanto dalla parte della nobilità della sua anima, narrando alquante delle sue virtudi effective che della sua anima procedeano; nella seconda dico di lei quanto dalla [parte della] nobilità del suo corpo, narrando alquante delle sue bellezze, quivi Dice di lei Amore. Questa seconda parte si divide in due: che nella prima dico d'alquante bellezze che sono secondo tutta la persona; nella seconda dico d'alquante bellezze che sono secondo determinata parte della persona, quivi Degli occhi suoi. Questa seconda parte si divide in due: che nell'una dico degli occhi, li quali sono principio d'amore; nella seconda dico della bocca, la quale è fine d'amore. E acciò che quinci si lievi ogni vitioso pensiero, ricordisi chi ci legge che di sopra è scripto che il saluto di questa donna, lo quale era delle operationi della sua bocca, fue fine delli miei desiderii mentre che io lo potei ricevere. Poscia quando dico Canzone, io so che tu, agiungo una stantia quasi come ancella dell'altre, nella quale dico quello che di questa mia canzone desidero. E però che questa ultima parte è lieve a intendere, non mi travaglio di più divisioni. Dico bene che a più aprire lo 'ntendimento di questa canzone si converrebbe usare di più minute divisioni; ma tuttavia chi non è di tanto ingegno, che per queste che sono facte la possa intendere, a me non dispiace se la mi lascia stare, ché certo io temo d'avere a troppi comunicato lo suo intendimento pur per queste divisioni che facte sono, s'elli avenisse che molti le potessero udire.