Da colonie a Stati Uniti d'America
1. La colonizzazione inglese nel Nordamerica.
La colonizzazione inglese nel Nordamerica si era sviluppata, diversamente da quella spagnola, portoghese e francese, in larga misura al di fuori e al margine dell'intervento statale. Solo alcune colonie erano nate da iniziative regie; altre erano sorte con la lottizzazione di terre concesse dal re a grandi aristocratici e uomini politici che voleva ricompensare; altre colonie ancora erano state fondate da altri (gli olandesi a Nuova Amsterdam, poi New Yourk; gli svedesi nel New Jersey) e inglobate nel tempo dalla corona britannica; un nucleo infine, quelle stabilitesi nel cosiddetto New England, vicino alla frontiera col Canada francese, erano nate dall'emigrazione di dissidenti religiosi calvinisti (i "puritani") o settari (quaccheri, anabattisti eccetera) che intendevando sottrarsi all'autorità della chiesa anglicana e avevano simpatizzato per la rivoluzione antimonarchica di metà Seicento. Le tredici colonie costituitesi sulla costa atlantica del Nordamerica (da nord a sud: New Hampshire, Massachusetts, Rhode Island, Connecticut, New York, Pennsylvania, New Jersey, Delaware, Maryland, Virginia, North Carolina, South Carolina, Georgia) presentavano pluralismo religioso (tutte le denominazioni riformate, cattolici, ebrei e tra gli schiavi anche dei musulmani), pluralismo etnico (inglesi, scozzezi, gallesi, scoto-irlandesi protestanti, irlandesi cattolici, olandesi, svedesi, tedeschi, austriaci, boemi e moravi, svizzeri, francesi protestanti, qualche raro italiano e spagnolo, greco e portoghese, e gli africani, tra i quali un piccolo numero liberi), pluralismo linguistico (in alcune colonie come la Pennsylvania la minoranza germanofona era consistente). Sia tra i dissidenti religiosi sia tra gli immigrati era abbastanza tenue la lealtà verso la Corona britannica: le colonie, in particolare quelle del New England, erano delle specie di repubbliche nelle quali i governatori mandati dal re contavano piuttosto poco e dove invece c'erano assemblee elettive spesso e volentieri riottose.
2. Tredici colonie diverse tra loro
Una grande differenza di struttura sociale e specializzazione economica sussisteva tra le colonie del nord, popolate di coltivatori diretti e di artigiani, marinai, pescatori, commercianti, con forbici di ricchezza relativamente poco accentuate e manodopera quasi esclusivamente libera, con qualche eccezione nel servizio domestico; le colonie del centro, anch'esse agricole e mercantili (New York era già un porto di grande rilevanza); e quelle del sud, dove prevaleva un'agricoltura estensiva, di piantagione, molte terre erano coltivate a tabacco e a cotone oltre che a riso: prodotti da esportazione nella coltivazione dei quali era impegnata una manodopera schiava numerosissima, tanto che a un certo punto almeno una colonia, il South Carolina, aveva una popolazione in maggioranza nera e schiava. Nel sud esisteva una aristocrazia di grandi proprietari, piantatori, possidenti, che pur essendo spesso di origine modesta avevano sviluppato un modo di pensare di tipo aristocratico e costituivano l'élite delle rispettive colonie. La popolazione bianca immigrata, spesso giunta in America con il sistema della servitù a contratto (l'immigrato copriva i costi del viaggio, che gli erano stati anticipati, impegnandosi a servire per quattro-sette anni un proprietario terriero come colono), aveva un basso livello di alfabetizzazione, era spesso povera ed emigrava oltre gli Allegheny alla ricerca di terra libera portando con sé l'istituto della schiavitù. Nel New England al contrario i livelli di alfabetizzazione erano altissimi per l'epoca e la popolazione in eccedenza si spingeva verso ovest per dare vita a fattorie e poderi familiari basati sul lavoro libero. L'immigrazione, in crescita tumultuosa dopo la vittoria sulla Francia, e una demografia favorevole (l'alimentazione era più ricca e abbondante che in Europa e l'assenza di grandi centri abitati attenuava gli effetti delle epidemie, mentre la disponibilità di terre rendeva possibile il sostentamento anche a famiglie numerose) fece sì che mentre il territorio già francese, vastissimo, ospitava appena 60mila abitanti, le colonie inglesi ne contavano circa due milioni-due milioni e mezzo.
3. Da sudditi a ribelli.
La fine del pericolo francese, i legami non saldissimi con la metropoli e la politica fiscale del governo di Londra dissolsero in un tempo brevissimo, nemmeno dieci anni, il legame coloniale. Gli inglesi ritenevano giustamente che la salvezza delle colonie fosse stata assicurata dall'intervento della Corona, con esercito, marina, rifornimenti eccetera. La guerra, pur vittoriosa, era stata costosissima e il governo voleva risanare il deficit, perciò ai coloni fu chiesto di pagare una serie di tasse aggiuntive deliberate dal parlamento di Westminster. I coloni cominciarono a protestare perché le tasse non erano approvate dai rappresentanti dei contribuenti: nel Seicento in Inghilterra c'era stata una rivoluzione innescata dal principio "No taxation without representation". Perché i sudditi inglesi d'America non dovevano avere gli stessi diritti di quelli della madrepatria? Alcune decisioni dei governanti inglesi accentuarono lo scontento. La Corona, per prevenire guerra con i nativi alla frontiera, stabilì che l'espansione dei coloni verso ovest venisse limitata da una linea di confine oltre la quale il territorio era riservato ai nativi ("Proclamation Line"). Infine una sentenza della più alta corte d'Inghilterra mise in dubbio la legalità della schiavitù sul territorio britannico, e allarmò i proprietari di schiavi nelle colonie.
4. La guerra di indipendenza americana.
Lo scontento riunì due movimenti radicalmente diversi. Nel nord a insorgere contro le autorità inglesi furono i ceti popolari e una parte della classe dirigente non legata al commercio con l'Inghilterra né ai favori dell’amminstrazione inglese. Nel sud alla testa dell'opinione indipendentista furono i grandi piantatori. L'élite dei piantatori della Virginia espresse con Thomas Jefferson l'autore della dichiarazione di indipendenza (4 luglio 1776), con James Madison uno dei primi pensatori politici americani, con George Washington il capo dell'esercito indipendentista. Dopo due anni di disordine e agitazione strisciante nel 1775 ci furono i primi scontri armati e nel 1776 la proclamazione del distacco dall'Inghilterra, che reagì militarmente. La rivoluzione americana, prima guerra di indipendenza coloniale contro la madrepatria, fu in parte una guerra civile, perché numerosi coloni restarono fedeli alla Corona e parecchi altri si astennero dal prendere posizione. Sebbene gli inglesi non brillassero per perizia militare, e una parte del ceto politico inglese fosse addirittura favorevole ai coloni, gli indipendentisti vinsero soltanto grazie all'aiuto della Francia e alla formazione di una coalizione di altri paesi che approfittarono dell'occasione per ridimensionare lo strapotere marittimo inglese. La Francia monarchica (e con lei la Spagna) appoggiava dei ribelli repubblicani per ottenere la rivincita della sconfitta subita nel 1763. Denaro, armamenti e soldati francesi contribuirono in maniera decisiva alla vittoria. Nel 1783 l'Inghilterra, pur occupando ancora buona parte del territorio coloniale, accettò l'indipendenza dei coloni, restituì alcune colonie alla Francia e si volse a rafforzare la sua presenza in India: perso un impero a occidente si apprestò a costituirne un'altro ancor più poderoso e redditizio a oriente.
5. La convenzione di Filadelfia e la costituzione degli Stati Uniti
Gli indipendentisti avevano trasformato le tredici colonie in tredici stati. Nel 1781 una sorta di patto costituzionale provvisorio, gli Articoli di confederazione (Articles of Confederation), aveva dato un assetto confederale alla nuova realtà che si era costituita. Ogni stato agiva e deliberava per conto proprio, con un'assemblea centrale che aveva poteri limitati. Il marasma finanziario provocato dalla guerra veniva affrontato in maniere diverse, stampando carta moneta e aumentando il debito pubblico. Buona parte delle élites, del nord, centro e sud, convennero sulla necessità di dar vita a un'organizzazione statale più solida, passando dall'assetto confederale a uno federale, con un governo centrale autorevole e un sistema politico regolato. Così nell'estate 1787 un gruppo di importanti uomini politici di tutto il paese si radunarono a congresso (Convention) a Filadelfia, con una sorta di autoconvocazione, e stesero una costituzione alla quale annessero una dichiarazione dei diritti (Bill of Rights). La costituzione prevedeva una netta separazione dei poteri, in omaggio al pensiero liberale settecentesco: il potere esecutivo nella persona di un presidente eletto indirettamente dal popolo e a capo di un governo di sua scelta; il potere legislativo affidato a una camera dei rappresentanti dove ogni stato era rappresentato in base alla popolazione e un senato dove invece ogni stato aveva la medesima rappresentanza (due senatori); il potere giudiziario affidato a magistrati in parte eletti dal popolo e in parte di nomina politica e a una Corte suprema incaricata di vagliare la costituzionalità delle leggi. Per accontentare gli stati del sud, nel conteggio della popolazione in base al quale assegnare i seggi nella camera dei rappresentanti si decise di conteggiare gli schiavi per i tre quinti del loro numero. La costituzione dovette essere ratificata da tutti gli stati. Per sostenere questo progetto di governo federale alcuni dei politici sostenitori di questa formula divulgarono le loro idee in una serie di articoli diffusi attraverso la stampa e raccolti sotto il titolo di Il Federalista (The Federalist): autori dei contributi furono Alexander Hamilton, James Madison e, in piccola parte, John Jay. Il Federalista è uno dei testi più importanti del pensiero politico americano. E Hamilton e Madison, benché in quel momento vicini e alleati, vennero presto a rappresentare due idee di futuro degli Stati Uniti antitetiche. I sostenitori del progetto di costituzione vennero detti federalisti, gli avversari, che avrebbero preferito mantenere un assetto confederale, antifederalisti. Nelle consultazioni elettorali per ratificare la costituzione i federalisti raccolsero i voti delle zone costiere, delle città, delle élite. Gli antifederalisti rappresentavano piuttosto le aree rurali dell'interno e i contadini più poveri. Vinsero i federalisti.
6. Due futuri per il nuovo paese.
Nel 1789 venne eletto primo presidente del nuovo stato George Washington, un piantatore della Virginia che aveva comandato l'esercito indipendentista (Continental Army), di orientamento conservatore. Si formarono ben presto due schieramente politici, uno detto federalista, capeggiato da John Adams e soprattutto Alexander Hamilton, e uno detto repubblicano-democratico, capeggiato da Thomas Jefferson e James Madison. Hamilton prefigurava per gli Stati Uniti un governo centrale forte, con una banca centrale, esercito e marina potenti, un avvenire mercantile e manifatturiero. Jefferson immaginava un governo nazionale debole, larghe autonomie locali, non una banca centrale ma piccole banche rurali per il credito agli agricoltori, poche tasse, nessun esercito permanente e una marina solo mercantile. Dopo due presidenti federalisti (Washington e Adams), nel novembre 1800 Jefferson venne eletto presidente, inaugurando un lungo periodo di prevalenza dei repubblicani-democratici (antenati dell'attuale partito democratico), uno schieramento che univa piantatori e agricoltori del sud e degli stati via via costituiti nell'ovest e ceti popolari del nord, ma che era minato dalla divergenza di interessi dell'economia sudista rispetto a quella del settentrione. Il cemento ideologico della coalizione jeffersoniana era la fiducia nell’uomo comune e nelle sue capacità individuali di migliorarsi e di sostenersi. Era una visione democratica, progressista e individualista al tempo stesso. Alla lunga le contraddizioni insite nel nuovo paese, ricco di istituti liberi e progressivi molto più che in Europa, ma caratterizzato anche da una fiorente economia schiavista, sarebbero state risolte da un sanguinosissimo confltito (Guerra civile americana, 1861-1865) che avviò risolutamente gli Stati Uniti sulla via dello sviluppo industriale.