Idee di Italia
La prima volta che qualcuno immaginò per l'Italia un futuro come repubblica unitaria fu nel 1798, quando in risposta a un concorso bandito dall'Istituto Nazionale di Milano, sotto l'amministrazione repubblicana sostenuta dai francesi, il piacentino Melchiorre Gioia diede, e non fu il solo dei concorrenti, questa risposta al quesito "Quale dei governi liberi meglio si addica all'Italia". Altri immaginarono una repubblica federale. Ma l'affermarsi del regime napoleonico prima e la Restaurazione degli antichi sovrani poi con il Congresso di Vienna resero inattuali queste idee.
Negli anni '20-'40 dell'Ottocento, col crescere delle aspirazioni all'unificazione nazionale, vennero via via elaborati diversi progetti di unificazione dell'Italia. Uno era quello repubblicano e unitario del genovese Giuseppe Mazzini. Un altro era repubblicano, ma federalista e venne formulato in maniere diverse dal milanese Carlo Cattaneo e dal toscano Giuseppe Montanelli. Un altro ancora prevedeva una confederazione degli stati esistenti, con l'estromissione eventuale dell'Austria dal Lombardo-Veneto, sotto la presidenza del Papa, e poteva configurarsi come un programma neoguelfo. Infine e da ultimo i Savoia si proponevano di proseguire la loro tradizionale politica di espansione territoriale realizzando un grande regno del Nord con la conquista della Lombardia e forse di altre aree della pianura padana.
Il momento di svolta fu il biennio rivoluzionario 1848-1849. In quell'occasione sia il progetto confederale sotto il patrocinio pontificio sia i progetti repubblicani mostrarono i loro limiti. Nel primo caso era la Chiesa per prima che non intendeva farsene sostenitrice. Nel caso dei moti repubblicani era evidente che mancavano della forza necessaria per imporsi contro una potenza come l'Austria e anche contro i singoli monarchi italiani ostili a ogni evoluzione costituzionale e liberale, come il re delle Due Sicilie. La sola strada che restava aperta era quella del sostegno anche di chi proveniva dalle file repubblicane al progetto di ingrandimento del regno di Sardegna. Questo sbocco del movimento di unificazione nazionale venne facilitato dalla circostanza che anche dopo la sconfitta nella prima guerra di indipendenza (1848-1849) il regno di Sardegna mantenne la costituzione liberale, lo Statuto albertino, concessa da re Carlo Alberto nel 1848. Era perciò una monarchia parlamentare, con una vita politica vivace e una libera stampa, diventando così il centro di attrazione di molti esuli dagli altri stati italiani, a cominciare dal regno delle Due Sicilie. Inoltre prima Massimo d'Azeglio e poi soprattutto Camillo Benso conte di Cavour sostennero una politica di riforme e di progresso economico che fece del Piemonte (come veniva abbreviata solitamente la denominazione di regno di sardegna: ma non si dimentichi il ruolo importante di Genova e della Liguria) lo stato italiano meglio inserito nei mercati internazionali e più al passo con l'evoluzione dell'economia europea.
Cavour, nobile di formazione franco-svizzera, liberale e liberista, ammiratore dell'Inghilterra, esperto di economia e abile diplomatico, fu senza alcun dubbio il maggiore statista italiano dell'Ottocento e il principale artefice politico dell'unificazione. Per al quale seppe ottenere l'aiuto (interessato) della Francia di Napoleone III. La seconda guerra di indipendenza (1859) venne sostanzialmente vinta dai francesi a vantaggio del Piemonte. E anche la sua prematura conclusione si trasformò in un successo, perché il crollo dei piccoli stati padani, la fuga del granduca di Toscana e la ribellione delle Romagne aprirono la strada a un ampliamento del Piemonte imprevisto e maggiore di quanto le cancellerie europee si proponessero. Di seguito, Cavour lasciò tentare a Garibaldi una spedizione in Sicilia che ebbe a sua volta, e grazie all'appoggio inglese, un successo imprevisto, portando al crollo rapidissimo del regno delle Due Sicilie. Per impedire che al sud si costituisse un governo repubblicano il re di Sardegna, con l'appoggio anche in questo caso delle grandi potenze, scese a prendere possesso del Mezzogiorno, occupando nel passaggio le Marche e l'Umbria, in ribellione contro il Papa. Garibaldi riconobbe la necessità di accettare la soluzione monarchica unitaria e su questa base vennero votati ovunque negli ex stati dei plebisciti di annessione al regno di Sardegna certamente manipolati, ma che esprimevano l'orientamento della maggioranza dei ceti borghesi e liberali in tutta la penisola. Nel marzo 1861, a nemmeno due anni dall'inizio della secondaguerra di indipendenza, era nata l'Italia unita, sia pure monca delle Venezie e del Lazio. Apparve però subito evidente che nel Mezzogiorno l'unificazione improvvisa, avvenuta nel marasma del crollo delle istituzioni borboniche e in una situazione di crisi sociale nelle campagne, si presentava difficoltosa. Venne affrontato come problema di ordine pubblico e qualificato brigantaggio l'esplodere di un acuto conflitto sociale, rivolto contro l'assetto delle campagne e quindi dapprima contro lo stato borbonico, ma poi contro i nuovi ceti dirigenti liberali, che spesso si identificavano con i possidenti tradizionali, passati opportunisticamente dalla parte del nuovo governo. Queste profonde ragioni sociali e l'incoraggiamento del re Borbone esule e del Papato motivarono una vera e propria guerriglia che si protrasse sino al 1864-1865, impegnò duramente l'esercito del nuovo Stato e venne repressa al costo di migliaia di morti (più di quanti morirono nelle guerre di indipendenza), e sbiadì negli anni successivi in effettivo banditismo rurale.
Morto Cavour, i dirigenti del regno unitario, pur inferiori a lui per capacità, seguitarono a perseguire il ricongiungimento delle regioni ancora sotto l'Austria o sotto il Papa. La terza guerra di indipendenza (1866) vide ancora una volta un alleato più potente, la Prussia guidata dal cancelliere Bismarck, vincere a vantaggio dell'Italia, che ottenne il Veneto e il Friuli anche se militarmente era stata sconfitta sia per terra sia per mare.
La liberazione di Roma avvenne nel settembre 1870, quando l'improvviso e imprevisto crollo del regime di Napoleone III in Francia portò al ritiro della guarnigione francese e, con il sostegno delle grandi potenze, le truppe italiane occuparono facilmente quello che restava dello Stato pontificio.