La periodizzazione (II): medioevo, età moderna, età contemporanea
Quando ero ragazzo si imparava che il mondo antico finiva nel 476, con la caduta dell'Impero romano d'Occidente; e che il Medioevo nel 1492, con la scoperta dell'America (si diceva proprio così: scoperta, perché le popolazioni amerinde evidentemente erano in paziente attesa che qualcuno si accorgesse di loro), lasciava il posto all'età moderna, la quale a sua volta cedeva il passo nel 1815, alla chiusura del Congresso di Vienna, all'età contemporanea. Quindi un medioevo lungo mille anni, un'età moderna contenuta in tre secoli, e un'età contemporanea che, quando ero giovane io, aveva già centocinquant'anni e ora, stando a questi criteri, ha superato i duecento.
Anche i liceali francesi, tedeschi e inglesi imparavano questa periodizzazione. E all’università seguivano come noi italiani lezioni di storia antica, medievale, moderna e, quando vennero istituite le cattedre, contemporanea che rispettavano esattamente quelle partizioni cronologiche e di competenze.
Le cose in realtà erano già più complicate e tendevano a complicarsi vieppiù, ma solo gli specialisti per il momento lo sapevano. Per esempio, tra i medievisti, che avevano a che fare con un millennio, si era sempre distinto tra Alto Medioevo e Basso Medioevo. Gli altomedievisti, che si occupavano di Longobardi e di Carlo Magno erano una congrega ristretta e distinta, mentre la maggior parte dei medievisti studiava l’epoca più e meglio documentata, dal Mille in poi. Quanto agli antichisti, negli anni Sessanta alcuni di loro cominciarono a introdurre il concetto di Tardo antico: un periodo esteso dal II-III secolo al VI-VII secolo: da Marco Aurelio o almeno da Costantino sino a Giustiniano o addirittura Carlo Magno, andando a sovrapporsi alla retroguardia dei medievisti.
Ma sin dove si spingeva il Basso Medioevo? A un certo punto l'avanguardia dei medievisti si trovava alle frontiere del Rinascimento. Prima in Italia che altrove: i tedeschi di Rinascimento parlavano poco, e semmai si interessavano all’Umanesimo (che da noi si confondeva cronologicamente col Rinascimento); gli inglesi finivano con l’identificare il Rinascimento con l’epoca dei Tudor, principalmente con l’età elisabettiana; i francesi riconoscevano che da loro il Rinascimento era stato merce d’importazione, dall’Italia, nella prima metà del Cinquecento: ma poi da loro iniziava l’età delle guerre di religione (1559-1629), ed era questa denominazione a prendere il sopravvento. E quanto durava il Rinascimento in Italia? Grosso modo, si è convenuto col tempo, da Petrarca a Michelangelo, o meglio ancora da Petrarca a Galileo. Dalla peste del Decameron di Boccaccio alla peste dei Promessi sposi di Manzoni. Da metà Trecento agli inizi del Seicento. Dallo scisma d’Occidente alla Controriforma. A cavallo, insomma, della frontiera tra Medioevo ed età moderna, dando un calcio alle periodizzazioni tradizionali. Gi specialisti italiani di Rinascimento sono sempre stati una famiglia composita: i quattrocentisti -ad esempio chi studia Lorenzo de’ Medici detto il Magnifico- provenienti dagli studi medievistici, i cinquecentisti -ad esempio chi studia suo figlio papa Leone X o suo nipote papa Clemente VII- da quelli modernistici. E non tutti hanno accettato di sentirsi rinascimentisti studiando il secondo Cinquecento o addirittura il primo Seicento.
Saltiamo all'altro capo del filo cronologico. Quando finisce l’età moderna e inizia la contemporanea? I manuali di Capra e Rosa-Verga propongono di spostare le frontiere oltre il classico termine del Congresso di Vienna: Capra alle rivoluzioni del 1848, cioè all’avvento di regimi parlamentari, dell’egemonia sociale della borghesia, e dell’emergere pieno dei nazionalismi in Europa; Rosa-Verga addirittura al 1870, cioè al completamento delle unità nazionali in Italia e Germania, alla fine della servitù della gleba in Russia e della schiavitù negli Stati Uniti d’America, alla diffusione in diversi paesi della rivoluzione industriale e dei regimi parlamentari con un suffragio allargato. Si può facilmente prevedere che tra qualche anno il confine tra storia moderna e contemporanea sarà ulteriormente spostato al 1914, cioè allo scoppio della Prima guerra mondiale, il cataclisma che distrusse alcuni imperi multinazionali (Impero austro-ungarico, Impero ottomano), segnò l’emergere degli Stati Uniti come prima potenza economica dell’Occidente, vide in Russia affermarsi l’esperimento comunista.
Ma ha senso tenere assieme un periodo a questo punto stirato da Colombo a Lenin? Forse no. Così la pensano da tempo i colleghi statunitensi e inglesi, che distinguono Early Modern History, storia protomoderna, da metà Quattrocento al Settecento, e Modern History, dal tardo Settecento alla Prima guerra mondiale, e ormai anche oltre, restringendo talvolta la coperta della Contemporary History all’ultimo sessanta-settantennio, dal 1945 in qua. E’ possibile che i vostri successori nelle nostre aule si troveranno anch’essi a studiare storia con questa periodizzazione. Che non persuade tutti i miei colleghi, né modernisti né contemporaneisti, mentre per quanto mi riguarda la trovo sensata e utile.
Saprete dai vostri figli, un giorno, come sarà andata a finire.