Utilità e inutilità dello studio della storia non contemporanea
Stando a un sondaggio citato in questi giorni da alcuni quotidiani, sembra che i giovani lamentino la scarsa informazione riservata dalla scuola alla storia contemporanea. Essi riterrebbero, e fanno loro eco molti adulti, che ci sia una gradazione di utilità nella storia: conoscere quella più recente, la contemporanea appunto, sarebbe prioritario rispetto al conoscere la storia dei secoli precedenti, dagli etruschi e dai romani sino al Risorgimento.
E’ una questione che credo mal posta in generale, e malissimo posta in particolare guardando all’Italia e all’Europa, cioè alla parte di mondo nella quale ci capita di vivere.
Non sono soltanto né in primo luogo le vicende degli ultimi cinquanta o sessant’anni che possono farci capire, ad esempio, i problemi dell’Italia attuale. Il problema del rapporto tra chiesa e stato ha origine nel nostro Medioevo, mentre nel Rinascimento si consumò il fallimento della costruzione di uno stato nazionale simile alla Francia o all’Inghilterra, con conseguenze che si risentono tuttora. Lo spirito localistico e campanilistico non si spiega se non si ha un’idea dei Comuni, ancora nel Medioevo. E il divario tra nord/centro e Mezzogiorno è anch’esso molto antico: per certi aspetti risale all’età romana, era evidente nel Medioevo e si è aggravato in seguito. E comunque bisogna ripercorrere la formazione dello stato unitario, nella prima metà dell’Ottocento, per intendere i punti di riferimento di tante discussioni attuali.
Come comprendere perché la Turchia ha oggi ambizioni di potenza, se si ignora che cosa fu l’Impero ottomano fra il Quattrocento e l’Ottocento? E per capire gli odi e le divisioni che hanno insanguinato i Balcani in questo ventennio occorre risalire proprio alla presenza ottomana in quelle terre. Come spiegare le tensioni all’interno del mondo islamico, se si dimentica che la scissione tra sunniti e sciiti risale al VII secolo, dunque è antica di milleduecento anni? La Cina, ridiventata oggi potente economicamente e non solo, lo è stata in precedenza per secoli e secoli: e già nel corso dell’età moderna essa rappresentava quasi un terzo della popolazione di tutto il mondo. L'ascesa della Cina non è una novità, ma un ritorno. Non ci dobbiamo stupire della varietà etnica e della mescolanza di fisionomie e di colori nelle popolazioni sudamericane, se pensiamo che dalla fine del Quattrocento a oggi il continente americano è diventato l’area più variamente meticciata del mondo: amerindi, europei di varia provenienza, africani, asiatici sono tutti presenti nel patrimonio genetico degli americani attuali per un processo che dura da mezzo millennio. L’antisemitismo ha radici molto lontane nel tempo e ha avuto manifestazioni diverse nei secoli: lo sterminio degli ebrei attuato nella Seconda guerra mondiale, sul quale un po’ tutti siamo fortunatamente informati, resta inspiegabile se non se ne conoscono i precedenti.
Insomma: che studiare l’età contemporanea sia indispensabile, è una banalità. Facendo beninteso attenzione all’inevitabile fatto che, se nessuna storia può essere presentata in maniera completamente neutrale (provate a far raccontare le Crociate a uno storico cristiano e a uno musulmano), men che mai lo è la storia contemporanea, sulla quale le ideologie e le passioni partigiane pesano con particolare forza (soltanto adesso che i due grandi partiti della Prima repubblica, la DC e il PCI, sono scomparsi da anni, tutti concordano che tanto Alcide De Gasperi quanto Palmiro Togliatti furono dei grandi politici).
Ma che sia sufficiente studiare la storia contemporanea per capire il mondo d’oggi è d’altro canto una ingenuità imperdonabile.
Infine, è opportuno ricordare una circostanza che riguarda in particolare noi italiani. Non è un’argomentazuione molto scientifica, ma vale la pena di evocarla egualmente.
Viviamo in un paese dove ad ogni passo troviamo segni splendidi delle civiltà passate, dall’età antica in poi. Sotto questo profilo siamo il paese occidentale con il passato remoto più e meglio documentato. Viviamo, anche, in una certa misura di un turismo culturale stimolato esattamente dalle testimonianze del passato lontano, non certo di quello vicino. Le folle di turisti che ci piace veder scendere dai torpedoni e dai treni per ammirare le nostre bellezze e nel contempo spendere un po’ del loro denaro a vantaggio della nostra economia non sono interessate alle vicende recenti o recentissime dell’Italia: ci chiedono Magna Grecia, Roma, cattedrali medievali, palazzi rinascimentali e barocchi, teatri lirici ottocenteschi. Senza certo ridurci a una Disneyland storica (non se ne corre il pericolo, vista la cattiva conservazione di molta parte di quel patrimonio urbanistico, architettonico e artistico), sarebbe paradossale che alla curiosità e all’entusiasmo degli stranieri corrispondesse il disinteresse nostro.